Gli effetti economici della pandemia hanno contribuito a risvegliare le attenzioni sulla complessa galassia dei lavoratori autonomi che hanno subito perdite occupazionali e di reddito di gran lunga superiori rispetto alla media degli altri operatori economici e dei lavoratori dipendenti. I numeri sono impietosi.
Rispetto al mese febbraio 2020 sono stati persi 350 mila posti di lavoro, il 37% sul totale delle perdite occupazionali, e di gran lunga superiore al 22% rappresentato da questa componente sul complesso dei lavoratori. Per la prima volta il numero dei lavoratori autonomi è sceso sotto la soglia dei 5 milioni (4,89 milioni nella rilevazione Istat relativa al mese di aprile 2021), quasi un milione in meno rispetto al massimo storico registrato negli anni precedenti la crisi del 2008.
Questi esiti sono in parte falsati dalle caratteristiche extra economiche della crisi in atto. Buona parte delle perdite è legata alla mancata attivazione delle nuove partite Iva per le aspettative negative generate dal blocco amministrativo di molte attività economiche, anche se attenuate sul versante opposto dalla mancata fuoriuscita dal mercato di una quota significativa di micro imprese, circa 170 mila secondo l’Istat, tenute provvisoriamente in vita dai sostegni erogati dallo Stato agli autonomi e ai liberi professionisti. In pratica si è generato per la componente dei lavoratori autonomi un effetto analogo a quello indotto sui lavoratori dipendenti dalle mancate assunzioni di nuovi lavoratori a termine e stagionali e dal blocco dei licenziamenti e dall’utilizzo delle casse integrazioni.
L’aggiornamento dei criteri di rilevazione operato dall’Istat a partire dal mese di gennaio u.s., che esclude dal numero degli occupati i lavoratori dipendenti in cassa integrazione a zero ore da almeno tre mesi e i lavoratori autonomi che per un analogo periodo non hanno svolto alcuna attività, hanno in parte già consolidato le ulteriori perdite occupazionali attese nei prossimi mesi. Il tempo necessario per comprendere l’entità e le caratteristiche delle problematiche sociali che dovranno essere affrontate a valle della crisi Covid.
Le conseguenze sul reddito dei lavoratori autonomi sono state in parte analizzate nell’ambito di un’indagine pubblicata dalla Fondazione dei Consulenti del lavoro alla fine del 2020 che stimava delle perdite significative di fatturato per l’80% dei lavoratori autonomi, superiori al 50% rispetto a quello dell’anno precedente per il 38% di questa platea. Circa 130 mila piccoli imprenditori, per la gran parte operante nei comparti del commercio e dei servizi più colpiti dalle chiusure, manifestavano l’intenzione di non riaprire le loro attività.
Gli aiuti dello Stato, tra contributi, il rinvio delle tasse e le garanzie per l’accesso al credito, hanno contribuito ad attutire la riduzione dei fatturati, ma gli effetti sono stati particolarmente duri per i comparti dei servizi rivolti alle persone e alla collettività.
In questi mesi l’attenzione verso i lavoratori autonomi si è spostata comprensibilmente sul versante degli aiuti pubblici, tema che sta influenzando anche l’intenzione conclamata di numerose forze politiche e dalle autorità del governo di estendere i sostegni al reddito permanenti anche ai lavoratori autonomi nell’ambito della attesa riforma degli ammortizzatori sociali, e alla luce delle esperienze maturate nel corso della emergenza Covid. Quest’ultima intenzione appare francamente fuori luogo, soprattutto per le caratteristiche dei lavoratori autonomi. Tarare la struttura degli ammortizzatori sociali sulle indicazioni provenienti da una contrazione delle attività conseguente ai provvedimenti adottati in via amministrativa per contrastare il virus, e che per tale motivo hanno giustificato gli aiuti dello Stato finanziati dall’insieme dei contribuenti, è una cosa priva di senso. A maggior ragione se intesa come contributo sulle perdite di fatturato per i lavoratori autonomi e i professionisti, come ventilano ipotesi circolanti presso il ministero del Lavoro e contenute in una recente proposta di legge presentata dalla Onorevole Gribaudo e da un gruppo di parlamentari.
Se il compito dei sostegni al reddito diventa quello di compensare una quota delle perdite di fatturato derivanti dalle scelte operate dai singoli imprenditori, con contributi messi a carico della fiscalità generale, possiamo, come si suol dire, chiudere baracca e burattini. Non a caso le associazioni dei lavoratori autonomi e dei professionisti esprimono il loro consenso per queste proposte alla condizione di non prevedere il contributo a carico dei lavoratori interessati, e che viene attualmente previsto per i lavoratori dipendenti.
Purtroppo l’ossessione per la rivendicazione di sussidi e prebende a carico dello Stato, che sta caratterizzando la competizione tra le forze politiche, finisce per trascurare le ragioni strutturali della crisi del lavoro autonomo in Italia che sono in corso da diversi anni e che meriterebbero analisi più approfondite e proposte adeguate.
La perdita del milione di occupati avvenuta nel corso dell’ultimo decennio è dovuta per i due terzi al mancato ricambio generazionale, frutto della componente demografica (numericamente le coorti delle giovani generazioni risultano dimezzate rispetto a quelle anziane) e dal drastico abbassamento della propensione a fare impresa che dipende soprattutto da motivazioni valoriali e dalla perdita di status che si è verificata negli anni 2000 per una parte significativa di queste professioni.
Per molti ambiti del lavoro autonomo si sta verificando quanto accade analogamente per una parte dei lavoratori dipendenti, per la difficile reperibilità di tecnici altamente qualificati e dei profili degli operai specializzati da parte delle imprese. Esemplare il caso del settore dell’edilizia e delle costruzioni, falcidiato nel corso della recente crisi anche sul versante dei lavoratori autonomi e delle professioni, e che si ritrova attualmente privo di risorse umane qualificate per sostenere la ripresa delle attività trascinata dalle opere infrastrutturali e dalle ristrutturazioni abitative che utilizzano i super bonus.
L’attenzione delle numerosissime associazioni di rappresentanza dei lavoratori autonomi e dei professionisti è rimasta prevalentemente concentrata sugli aspetti conservativi della tenuta delle attività imprenditoriali, sulle regole di accesso agli ordini e le autorizzazioni per l’avviamento di nuove attività, e sulla salvaguardia dei margini di gestione del fatturato dalle perenni attenzioni del sistema fiscale. Evidentemente con discreti successi dato che l’evasione fiscale per queste tipologie di contribuenti si mantiene costantemente tra il 65% e il 70% (dati Istat sul lavoro sommerso e le sotto dichiarazioni fiscali), diventando una delle componenti più significative per la competizione interna ai comparti interessati. Un tema destinato a ritornare a centro delle attenzioni nell’ambito della prossima riforma fiscale, e delle misure che dovranno essere introdotte per contrastare l’evasione.
Nel contempo tutto lo sviluppo delle specializzazioni, delle attività di consulenza, di certificazione, di rendicontazione contabile, di trasferimento tecnologico, o di semplice adeguamento delle competenze e profili di attività all’aggiornamento delle tecnologie e alle esigenze indotte dai vincoli ambientali e dalle sensibilità dei consumatori è stato trascurato in modo colpevole. Oggi più che mai appare evidente quale possa essere il peso ponderale delle componenti conservative rispetto a quelle innovative per lo sviluppo futuro del lavoro autonomo.
Sul piano normativo, non sono stati attuati gli obiettivi contenuti nella legge delega del 2017 per lo Statuto del lavoro autonomo finalizzati: a migliorare i percorsi di apprendimento e di aggiornamento delle professioni; a migliorare i rapporti con i grandi committenti; a facilitare l’utilizzo delle prestazioni dei professionisti nell’ambito delle pubbliche amministrazioni; a introdurre soluzioni normative ragionevoli per i sostegni al reddito per far fronte agli imprevisti delle attività economiche.
L’evoluzione del mercato del lavoro suggerisce anche il bisogno di prevedere soluzioni innovative per le prestazioni lavorative, già evidenti nei comparti della logistica e dei servizi a domicilio e con una grande potenzialità di sviluppo nelle modalità dello smart working, che sviluppano di fatto la combinazione di lavoro autonomo e subordinato.
La mancanza del ricambio generazionale può comportare seri problemi di tenuta anche per le casse previdenziali private di molte professioni. Molto dipenderà dalla capacità delle organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori autonomi e dei professionisti di spostare l’asse delle attenzioni dagli obiettivi conservativi a quelli innovativi e di rigenerare il ruolo di queste componenti nel nostro mercato del lavoro.
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