Ha un nome che fa pensare a qualcosa di piccolo e carino, Sparrow, che in italiano significa passero. In realtà, è l’ultima di una serie di importanti innovazioni tecnologiche che potrebbero modificare per sempre la programmazione lavorativa di uno dei maggiori employer al mondo: Amazon, che nel 2021 contava circa 1,6 milioni di dipendenti.
Sparrow altro non è che un robot, un braccio robotico per l’esattezza, con delle incredibili capacità: un sapiente mix di computer vision e intelligenza artificiale gli consentono di guardare e riconoscere milioni di oggetti di ogni forma e dimensione (a oggi identifica circa il 65% dell’inventario di Amazon, ma in futuro chissà), afferrarli e, prima che vengano imballati, individuare quelli non conformi e scartarli. Lavoro che, a oggi, è di competenza delle risorse umane del colosso di Seattle. Potenzialmente, quindi, un domani più o meno lontano Sparrow saprà svolgere in autonomia il lavoro che è oggi in capo a centinaia di migliaia di impiegati per smaltire i 13 milioni di pacchi che Amazon consegna ogni anno.
L’occasione per presentare questo nuovo robot – e non solo – è stato “Delivering the Future”, l’evento organizzato dalla stessa azienda presso il suo centro di produzione robotico situato alle porte di Boston, in Massachusetts, cui hanno preso parte oltre 100 giornalisti.
Aiutanti o sostituti?
“Lavorando al fianco dei dipendenti, Sparrow si occuperà di compiti ripetitivi, consentendo alle persone di concentrare il loro tempo e le loro energie su altre mansioni, migliorando al contempo gli aspetti legati alla sicurezza”, spiega Amazon sul suo portale. “Allo stesso tempo, Sparrow ci aiuterà ad aumentare l’efficienza automatizzando una parte critica del nostro processo di evasione degli ordini, in modo da poter continuare a consegnare ai clienti”. Questo nuovo “assistente robotico” andrà dunque ad affiancare il lavoro che Robin e Cardinal – alti due bracci robotici – svolgono a valle delle linee di confezionamento, dove smistano i pacchetti già imballati. Sollevando i lavoratori “umani” da mansioni faticose e ripetitive. Il fatto è che, quando si parla di automazione, il timore che i robot possano un giorno rendere gli esseri umani lavorativamente superflui riemerge in tutta la sua forza. Secondo alcuni (inclusa Amazon), è invece il motore che porta alla creazione di nuove professionalità.
“La progettazione e l’impiego della robotica e della tecnologia nelle nostre attività logistiche hanno creato oltre 700 nuove categorie di posti di lavoro all’interno dell’azienda”, spiega ancora Amazon. “Questi nuovi ruoli, che impiegano decine di migliaia di persone in Amazon a livello globale, contribuiscono a dimostrare in modo tangibile l’impatto positivo che la tecnologia e la robotica possono avere per i nostri dipendenti e per il nostro ambiente di lavoro”.
Tra le altre novità tecnologie presentate nel corso dell’evento di Boston, anche i veicoli elettrici messi a punto da Rivian – con l’obiettivo di rendere elettrica tutta la flotta, oltre 100mila veicoli, entro il 2030 – e, sempre per il “lavoro di strada”, la nuova tecnologia Fleet Edge che consiste in un computer di bordo, una telecamera per la visione della strada e un dispositivo Gps capace di acquisire le immagini della strada per aggiornare continuamente le informazioni sul software di mappatura stradale, fornendo agli autisti dati aggiornati sul percorso da seguire. Infine, i droni: con l’obiettivo di raggiungere 500 milioni di pacchi consegnati con l’utilizzo di droni a milioni di clienti l’anno entro la fine di questo decennio, gli ingegneri di Amazon hanno fatto grandi passi avanti in questo senso con la creazione di un drone di ultima generazione, il MK30X, che dovrebbe diventare operativo dal 2024.
Problemi di recruiting all’orizzonte
Dietro a questa serrata corsa all’automazione c’è chi però ci vede anche dell’altro. Secondo un articolo pubblicato lo scorso giugno da Recode, una fuga di documenti interni ad Amazon avrebbe portato alla luce un problema di non poco conto per la società di e-commerce: il progressivo “prosciugamento” dei bacini demografici da cui Amazon attinge per trovare nuove risorse umane, a fronte di un business in continua crescita. Come dicevamo, Amazon è infatti uno dei maggiori datori di lavoro al mondo, il secondo negli Stati Uniti dopo Walmart, eppure già dal 2024 potrebbe faticare a trovare nuovo personale da assumere.
Il documento, redatto da alcuni analisti di Amazon, evidenzierebbe gravi carenze in alcune aree strategiche del Paese, dai dintorni di Memphis in Tennessee a quelli di Wilmington nel Delaware, dove i servizi di consegna ultrarapida potrebbero essere messi in seria difficoltà.
Le ragioni di questa impasse sarebbero diverse. La principale, secondo alcuni, è l’incapacità di Amazon di tenersi i suoi dipendenti. Il tasso di turnover medio nel settore trasporti e logistica negli Usa è tra il 40% e il 60%, contro il 123% registrato da Amazon nel 2019 e il 160% del 2020. Tre volte tanto circa. Ma perché? Sicuramente una concorrenza sempre più agguerrita da parte dei competitor; ma anche la questione, più volte sollevata ormai, dell’iper controllo di Amazon sui propri lavoratori. I quali, nella grande maggioranza dei casi (pare addirittura il 90% dei nuovi assunti), non vedrebbero nella società un posto in cui fare carriera, ma piuttosto un impiego temporaneo, che va bene per sei mesi o poco più.
Non aiuta poi a migliorare l’immagine della società anche la guerra intestina che Amazon sta conducendo per bloccare la nascita di nuovi sindacati. “Amazon sta lottando con le unghie e coni denti per impedire ai suoi magazzinieri negli Usa, arrabbiati per i bassi stipendi e la pressione lavorativa, di unirsi in sindacati”, scrive sul Guardian uno dei giornalisti presenti all’evento di Boston. “Imballatori-robotici, trasportatori-robotici e corrieri-robotici potrebbero rappresentare la soluzione a questi problemi”.
Amazon è già oggi uno dei maggiori produttori di robot industriali al mondo: 330mila ne vengono creati ogni anno all’interno dei suoi laboratori di Boston.
Cresce il mercato mondiale della robotica
econdo i dati rilasciati a ottobre dalla Federazione internazionale della robotica (Ifr), il numero di robot industriali installati nel mondo nel 2021 ha superato le 517mila unità, in crescita del 31% sull’anno precedente, per un totale di robot attivi a livello globale pari a 3,5 milioni. L’Asia si conferma il primo mercato, meta del 74% dei nuovi robot prodotti nel 2021. Al suo interno, primeggia la Cina, con 268.195 unità installate nel 2021 (+51%), segue il Giappone a 47.182 unità. Il Paese del Sol Levante è però anche il primo produttore mondiale, vantando una quota export di 182.102 unità nel 2021. Gli Stati Uniti sono terzi nella graduatoria dei Paesi che hanno installato più robot nel 2021, pari a 35mila unità, mentre l’Italia occupa il sesto gradino della graduatoria con 14mila unità installate, in crescita del 65%. Ed è anche il secondo maggior mercato europeo dopo la Germania.
Restando al nostro Paese, nel 2021 la maggior parte delle installazioni ha riguardato il settore dei metalli e dei macchinari: 2.968 unità (+44%), pari al 21% del totale. La domanda del settore automobilistico è diminuita del 4%, a 1.146 unità, mentre è cresciuta molto quella del settore food & beverage, che è divenuto un importante cliente per i produttori di robot industriali: le installazioni annuali hanno toccato le 1.199 unità nel 2021 (+18%).
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