A volte basta la parola, come nella vecchia pubblicità, o meglio come nelle pubblicità di cui ci ricordiamo solo noi dotati dalla natura di un’età non troppo acerba. Già, basta la parola: basta dire SURE, lo strumento Ue che contribuisce ai costi della cassa integrazione e al sostegno all’economia. Quando fu deliberato divenne trionfalmente, nella vulgata italica, il nuovo welfare europeo, la Cassa Integrazione italiana pagata dalle tasse delle pensionate tedesche; la sconfitta dei brutti e cattivi nord-europei che non voglio che si faccia debito. Poi se ne è parlato sempre meno, SURE è divenuto sure. E infine un sussurro.
In televisione si è discusso di tutto, si è parlato (normalmente a sproposito, talora perfino senza senso e senza senno) di ogni argomento. Sono stati analizzati, anatomizzati, liquefatti tra grida, spintoni e rinfacciamenti di varia natura, numeri, cifre, pareri, ipotesi, proiezioni sul Covid e sulle sue malefatte. Ma alzi la mano chi ha partecipato, anche da telespettatore, anche da auscultatore sonnolento, a qualche show televisivo su SURE.
Al limite mi ricordo che fu utilizzato come una clava retorica in discussioni tardopomeridiane tra tele-rifatte che disputando di divorzi e amoreggiamenti mediatici, tentavano di nobilitare i propri interventi con citazioni pseudo politiche. Ma quanto a chieder loro di dettagliare, beh, tiremm innanz!
Ora SURE è tornato: Draghi, che in Europa ha qualche relazione non secondaria, al summit di Porto organizzato dalla presidenza portoghese ha detto che secondo lui dovrebbe proseguire fino a che la ripresa non si sarà consolidata. In quella occasione è stato assunto un documento che ribadisce l’importanza dell’attuazione del Pilastro europeo dei diritti sociali quale elemento fondamentale della ripresa, in particolare per garantire la creazione di nuovi e migliori posti di lavoro per tutti nel quadro di una ripresa inclusiva. In aggiunta è stato deciso di intensificare gli sforzi contro le disuguaglianze e le discriminazioni, i divari di genere, la povertà infantile, l’esclusione dei giovani e delle persone più vulnerabili.
Come ha detto Draghi, per la prima volta il Consiglio europeo condivide una forma di coordinamento dei mercati del lavoro e soprattutto dei diritti sociali e SURE dovrà servire per introdurre un sussidio di disoccupazione a livello europeo e creare un mercato comune del lavoro che permetterà sicuramente maggiore mobilità e maggiori opportunità di lavoro per tutti i cittadini dell’Unione.
Sul tavolo ci sono 100 miliardi raccolti dalla Commissione sui mercati ed erogati sotto forma di prestiti agli Stati membri per finanziare la cassa integrazione e altre misure a sostegno dei lavoratori o in ambito sanitario.
Ora il punto, se ci si permette, non è il giudizio su questo che come tutti gli strumenti è né più né meno che un mezzo, un arnese. Perché il giudizio è solo positivo: un altro mattone verso una casa comune, una politica comune, una responsabilità comune. Il problema è che cosa ce ne faremo di questi che sono soldi prestati e che andranno fatti fruttare per poter essere restituiti.
Perché la preoccupazione europea, e anche la nostra se ci si permette, è che il deserto di idee innovative nel quale le forze sociali sembrano in questo momento navigare venga riempito dalle consuete affermazioni e dalla coazione a ripetere le antiche, e non sempre nobili, consuetudini. Insomma, si rischia di “Alitalizzare” gran parte delle aziende. Proprio quando svuoteremo (finalmente) le terapie intensive di esseri umani in debito di ossigeno non rischieremo mica di riempire i tavoli governativi di aziende ben più asfittiche e senza futuro tenendole in vita al grido di “salviamo i lavoratori (e gli imprenditori) e intanto vediamo cosa fare”?
Qualche settimana fa un uomo di grande sapienza ha ragionato a lungo a partire dalla considerazione che “peggio della crisi c’è solo il dramma di sprecarla”. Ecco se pensiamo a SURE e a come potrebbe essere usato qui da noi, un brivido ci corre lungo la schiena.
Perché ci piacerebbe che divenisse uno strumento di rilancio e di riconversione, un’occasione per recuperare al lavoro chi oggi (e tanto più domani) ne sarà escluso. Ma non lo si potrà fare certamente con i redditi di cittadinanza variamente denominati ed elargiti: la distribuzione delle scarpe di antica (e non solo partenopea) memoria non ha mai incrementato neppure la produzione delle calzature stesse. Ma non lo si potrà fare neppure lasciando immutate strutture formative come istituti tecnici e scuole professionali: occorre finalmente avviarsi verso un vero sistema scolastico duale; occorre investire in un vero long life learning per questa e le prossime generazioni di italiani.
Lo si potrà fare cioè attraverso una formazione continua vera e sensata, abbinata a un cambio culturale che introduca una concezione del lavoro finalmente non più punitiva e negativa, ma costitutiva e intrinseca della identità stessa dell’uomo. Non lo si potrà fare guardando solo al quotidiano: e su questo il ruolo dei sindacati non potrà che essere decisivo. Se le organizzazioni dei lavoratori non coglieranno l’occasione per imporre un nuovo modo di utilizzo dei fondi e se invece si limiteranno a reiterare le liturgie consuete, se dalla difesa di un presente morituro non sapranno trarre occasione per costruire un futuro di sviluppo, allora i 100 miliardi europei, anche finissero tutti nella nobile penisola che ci ospita mentre temporaneamente siamo di passaggio in questo mondo, a nulla serviranno se non a fare altri debiti da lasciare ai (pochi) figli che abbiamo generato.
Sure, sicuramente, SURE, il fondo, è un bene; ma siamo sure, sicuri, che sapremo farne un uso sensato e innovativo? Per ora il rullo di tamburi che s’ode assomiglia più al rumore di un assalto alla diligenza che a quello di un ben congegnato piano di rilancio e di sostegno al sociale.
Ma noi siamo sure che ci sbagliamo e che stavolta si saprà far meglio che in passato. In fondo, la crisi non può andare sprecata: non abbiamo appena finito di gridare dalle finestre che “andrà tutto bene” e che “ci riprenderemo”?
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