Nonostante il tasso di occupazione a giugno abbia superato il 60%, ai massimi da circa 45 anni, continua a essere alto il numero di posti vacanti: per le imprese è sempre più difficile trovare lavoratori specializzati e con le competenze necessarie per le posizioni richieste. Come ci spiega Monica Poggio, Amministratore Delegato di Bayer Italia, oggi ospite del Meeting di Rimini, «il tema del reperimento di collaboratori con le competenze corrispondenti a quelle ricercate è tra quelli prioritari per le aziende, come quelli relativi al costo dell’energia e al funzionamento della supply chain, già da prima dello scoppio del conflitto in Ucraina. C’è un’effettiva difficoltà su questo fronte e credo che ci siano alcune criticità nel sistema educativo e formativo».
Quali?
Sono troppo pochi gli studenti che conseguono un titolo di studio di fascia terziaria, cioè troppi pochi laureati e diplomati a seguito di percorsi di alta specializzazione come gli ITS, rispetto al resto d’Europa. Tra di essi, inoltre, sono pochi quelli che hanno un titolo attinente con le discipline STEM, cioè Scienze, Tecnologia, Ingegneria e Matematica. Continua a essere elevato il tasso di dispersione scolastica e di abbandono degli studi universitari e abbiamo il più alto numero di NEET, cioè di giovani che non sono attivi né nella ricerca di un lavoro, né in percorso formativo, nell’Ue.
Sono fenomeni che si osservano da tempo, giusto?
Sì, anche se quello relativo all’abbandono degli studi si è aggravato durante la pandemia. Va detto anche che questi fenomeni si incrociano con il declino demografico che in Italia è in corso ormai da diversi anni.
Cosa si può fare davanti a questo quadro?
Ritengo che si debba insistere molto sulle attività di orientamento durante il percorso scolastico, più efficacemente di quanto si faccia oggi. Dove vengono già svolte, occorre fare in modo che lo siano in maniera più funzionale.
Lei si batte da anni per favorire l’occupazione femminile: cosa manca al nostro sistema per vederla effettivamente crescere?
Un paio di esempi su tutti. Bisogna innanzitutto insistere sul potenziamento di misure a sostegno della famiglia, come per esempio congedi di paternità e asili nido. Poi, un altro aspetto importante: le donne, durante la pandemia, sono state le più penalizzate sul mercato del lavoro. Le attività di orientamento di cui parlavo poc’anzi andrebbero svolte, a mio modo di vedere, in maniera neutra rispetto al genere, così da facilitare percorsi che portino ad acquisire le competenze richieste dalle aziende. In questo modo si può far sì che vengano rispettati gli interessi e le inclinazioni delle persone, così da indirizzarle verso professioni che vogliono svolgere, con la consapevolezza, però, che siano effettivamente richieste dal mercato.
Che altri passi vanno fatti?
Va ulteriormente potenziata l’offerta formativa nella fascia terziaria. In questo ultimo anno c’è stato un calo delle iscrizioni negli Atenei. Occorre, quindi, rafforzare non solo l’università, ma anche i percorsi come gli ITS, in modo che si possa articolare un’offerta formativa post-diploma che sia più allineata alle esigenze delle aziende. Credo sia anche necessario rinobilitare la formazione tecnica che negli anni è stata trascurata.
Si è parlato e si parla ancora molto in questi mesi di Reddito di cittadinanza. Quanto a suo avviso ha impattato negativamente sui giovani dal punto di vista culturale nella ricerca di lavoro e quanto ha pesato sulle aziende che hanno bisogno di manodopera?
Non penso che il problema siano i giovani. Sono dell’idea che questa misura vada riformata con una visione a tutto tondo, in modo che ci sia una serie di strumenti che tengano conto del mercato del lavoro, su cui la pandemia ha avuto un impatto importante, della produttività e delle competenze. Bisognerebbe che ci fossero sostegni al reddito temporanei, così da supportare i più fragili, facendo in modo che chi può essere attivo sul mercato del lavoro lo sia realmente.
Si è parlato anche di salario minimo, un tema che l’attuale Governo lascerà in eredità al nuovo. Qual è la sua opinione in merito?
Su questo tema occorre ragionare in termini di sistema. Abbiamo settori coperti in maniera estremamente efficace dalla contrattazione collettiva. Se si vuole, quindi, introdurre il salario minimo occorre farlo in maniera che non entri in conflitto con questo sistema. Uno strumento può essere funzionale purché se ne valuti bene l’impatto sul sistema complessivo rispetto agli obiettivi che si perseguono.
Guardando, infine, fuori dai nostri confini, l’economia tedesca sta vivendo un momento molto difficile. Che impatto ci sarà, a suo modo di vedere, sul sistema produttivo ed economico italiano?
Sicuramente Italia e Germania sono molto interconnesse, basti pensare che nel 2021 l’interscambio ha raggiunto la cifra record di 142 miliardi di euro. Le nostre aziende sono ben inserite nelle catene del valore tedesche, sono fornitrici strategiche in tanti settori come la meccanica e l’automotive. Su un questione importante come quella energetica, però, occorrono risposte comunitarie, ci vuole un approccio che tenga conto della situazione europea complessiva.
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