Per le aziende che vogliano inseguire l’innovazione, o anche solo semplicemente produrre, le competenze dei propri collaboratori sono fondamentali. C’è chi, come Philip Morris, ha deciso di mettere in rete la propria struttura con quelle locali dando vita a un centro per l’alta formazione e lo sviluppo delle competenze legate a Industria 4.0 a Crespellano in provincia di Bologna, il Philip Morris Institute for Manufacturing Competences. Come ci spiega Marco Hannappel, Presidente e Amministratore Delegato di Philip Morris Italia, ospite ieri del Meeting di Rimini, esso «rappresenta un ulteriore tassello che si aggiunge al già avanzato ecosistema di Philip Morris in Emilia-Romagna, dove ha sede il nostro più grande stabilimento produttivo al mondo. Si tratta di una struttura chiave per il futuro della nostra azienda a livello globale, sia per la manifattura di prodotti innovativi senza combustione, sia per le attività di prototipazione e sviluppo industriale, sia per la definizione degli standard di sostenibilità per gli impianti produttivi di Philip Morris nei diversi continenti. Abbiamo un obiettivo chiaro».
Quale?
Costruire un futuro senza fumo, con prodotti senza combustione tecnologicamente avanzati che possano sostituire le sigarette nel più breve tempo possibile. Per raggiungerlo abbiamo bisogno di continuare a sviluppare innovazione, investendo in ricerca, sviluppo e sostenibilità, e lo facciamo soprattutto in Italia, senza mai tralasciare il capitale umano e le competenze necessarie a integrarlo con l’Industria 4.0. Il Philip Morris IMC, inaugurato lo scorso giugno, nasce proprio per favorire lo sviluppo dell’alta formazione e delle competenze legate all’industria 4.0. Un polo che guarda al futuro e che ha l’obiettivo chiaro di offrire formazione continua e trasferimento tecnologico, favorendo lo sviluppo delle competenze per le professioni del futuro nel mondo manifatturiero.
Cosa manca, a suo avviso, nel sistema formativo italiano?
Credo che in Italia abbiamo una rete di ottime università e istituti tecnici, quello su cui dobbiamo investire e intervenire è un più stretto collegamento con l’economia reale e le aziende. Per questo penso sia fondamentale che il mondo accademico e quello delle imprese intensifichino la loro collaborazione. Il Philip Morris IMC è una struttura pensata proprio per ridurre il gap che continua a esistere tra mondo della formazione e le competenze pratiche necessarie a operare negli impianti manifatturieri.
Perché concentrarsi sulle competenze relative al manifatturiero?
L’Italia è il quinto Paese al mondo per surplus manifatturiero, con tre tra le prime cinque Province europee superspecializzate nella manifattura. Oggi il progresso tecnologico e lo sviluppo delle competenze connesse all’Intelligent Manufacturing stanno portando a un cambio di paradigma dei processi produttivi, ormai connessi all’interno di un ecosistema intelligente dove macchine e capitale umano sono perfettamente integrati. Il Philip Morris IMC rappresenta in questo contesto un’azione concreta per tenere il passo di una trasformazione tecnologica sempre più rapida, un motore di sviluppo per il sistema-Paese: il nostro progetto per lo sviluppo delle competenze legate alla manifattura del futuro, infatti, è aperto non soltanto alle nostre persone ma anche alla nostra filiera produttiva, ai territori in cui operiamo e al mondo della formazione accademica e tecnica. Per definirne l’offerta formativa siamo partiti da una ricerca realizzata con The European House – Ambrosetti, che ci ha permesso di individuare tre aree fondamentali per l’industria 4.0: formazione, trasferimento tecnologico e open innovation.
Come mai la scelta di “aprirsi” al mondo esterno e non dar vita a qualcosa di più simile a una Academy aziendale?
Le competenze che intendiamo sviluppare con questo progetto saranno funzionali alla crescita di un’intera generazione di imprese, di personale e di tecnologie che possono contribuire allo sviluppo di tutto il territorio. Si dice che una catena è forte quanto il suo anello più debole: la nostra catena è la nostra filiera integrata italiana, e il nostro impegno consiste da anni nell’investire per rafforzarne ogni singola parte. Partire dalla formazione non è soltanto giusto, ma è necessario per guardare al futuro. Per questo l’IMC nasce come sistema aperto che si rivolge non solo alle 38.000 persone della nostra filiera, ma anche a tutto il mondo economico, industriale, dell’istruzione e della formazione, locale e nazionale.
Si è parlato molto in questi mesi di Reddito di cittadinanza. Quanto a suo avviso ha impattato negativamente sui giovani dal punto di vista culturale nella ricerca di lavoro e quanto ha pesato sulle aziende che hanno bisogno di manodopera?
Il Reddito di cittadinanza nasce da presupposti giusti, cioè sostenere economicamente chi è in difficoltà. Andava a mio parere accompagnato da politiche attive sul lavoro più convinte, dall’inserimento al reinserimento in azienda, con agevolazioni fiscali e con una visione di lungo periodo per le filiere italiane, il grande limite causato dalla nostra instabilità politica. Deve essere un solido sostegno per chi non può rientrare nel mondo del lavoro, e un sostegno invece temporaneo nel passaggio a una nuova attività o inserimento in azienda per chi ne ha le possibilità.
Si è parlato anche di salario minimo, un tema che l’attuale Governo lascerà in eredità al nuovo. Qual è la sua opinione in merito?
Anche in questo caso si tratta di uno strumento per tutelare le fasce di lavoratori più in sofferenza. È necessario lavorare a un meccanismo che tenga insieme il valore positivo della contrattazione collettiva e l’esigenza di un salario minimo senza compromettere il modello attuale. È già implementato in vari Paesi Ue e si può lavorare su quella base di esperienza.
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