Alcuni giorni fa l’Inps ha reso noto che l’Italia nel 2022 ha raggiunto il massimo storico dell’occupazione, il 61%. Il nostro Paese è ancora indietro rispetto ad altri competitor europei, ma certamente questo è un risultato positivo. Eppure, ci dice l’ultimo dato Excelsior (l’indagine di Unioncamere e Anpal sulle previsioni occupazionali delle imprese), a settembre la difficoltà di reperimento ha toccato addirittura il 48% delle assunzioni che le imprese intendono effettuare.
Excelsior mostra che la prima causa del mismatch è la mancanza di candidati per i profili ricercati. Il processo di invecchiamento della popolazione che sta interessando anche il nostro Paese è già, almeno in parte, all’origine di questa problematica. Tra il 2004 e il 2022 i lavoratori della fascia 50-64 anni sono aumentati di 3,8 milioni, mentre gli under 35 sono diminuiti di 2,4 milioni. In prospettiva soprattutto il Sud soffrirà la carenza di giovani: a fine 2069, secondo le proiezioni dell’Istat, le prime tre regioni più anziane del Paese (e sei delle prime sette) saranno meridionali.
Occorre allora favorire in maniera più massiccia l’entrata nel mondo del lavoro delle donne e dei giovani, recuperando gli oltre 1 milione e 600mila Neet (il 19% della popolazione giovanile tra i 15-29 anni) e riducendo gli abbandoni scolastici: oggi il 12,7% degli studenti abbandona la scuola prima di aver conseguito un titolo di studio. Un valore che nel Mezzogiorno raggiunge il 16,6%.
Questo scenario deve indurci a cambiare passo anche riguardo alla gestione del fenomeno migratorio. Sappiamo, infatti, che le politiche legate alla natalità necessitano di molti anni per poter dare i primi risultati. I dati Excelsior che Unioncamere elabora insieme ad Anpal mostrano che nel 2022 le imprese italiane – al netto del settore agricolo e dei servizi di cura alle famiglie – avevano intenzione di assumere oltre 922mila lavoratori stranieri (+295.000 unità rispetto al 2019). Dobbiamo, quindi, avere progetti e servizi per programmare flussi migratori sicuri e processi di integrazione sociale efficaci, favorendo in particolare programmi di formazione realizzati nei Paesi di provenienza e ben collegati con le potenzialità occupazionali della nostra economia.
Il sistema delle Camere di commercio sta perciò ragionando insieme ad altri attori su questo filone, con l’obiettivo di aiutare le imprese a trovare personale proveniente dall’estero qualificato e preparato a entrare nel mondo del lavoro all’interno di una cornice di cooperazione internazionale ben definita.
Altro grande tema chiamato in causa dal fenomeno del mismatch è quello della formazione. Avvicinare i percorsi formativi alle grandi trasformazioni in atto nella società e alle esigenze del mondo del lavoro, superando il gap di competenze in particolare green e digitali, deve essere considerata una priorità.
Mancanza di candidati per i profili richiesti e disallineamento delle competenze generato dalle difficoltà del sistema formativo stanno creando un vero e proprio cortocircuito nel mercato del lavoro che non è più sostenibile per il Paese. In questa direzione il potenziamento degli ITS Academy e dell’istruzione tecnica e professionale devono giocare un ruolo centrale. Le Camere di Commercio stanno facendo la loro parte per il ridare centralità, nei singoli territori, alla filiera formativa tecnico-professionale e per far crescere il canale degli ITS Academy.
Tra le cause del mismatch un ruolo rilevante è legato anche al frequente “disorientamento” dei giovani di fronte al mondo del lavoro, che è possibile superare solo con un orientamento formativo avviato per tempo e capillare. E credo che un buon sistema di orientamento debba mettere al centro dei percorsi educativi anche i valori dell’esperienza e della condivisione nei contesti lavorativi. Per questo penso sia giusto riflettere meglio sulla attualità dei modelli di apprendimento che si definiscono “duali”, come pure sul valore dell'”alternanza scuola-lavoro”, organizzata con criteri di “qualità” e “sicurezza”.
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