Con il Decreto Legge denominato “Rilancio” – approvato mercoledì scorso dal Consiglio dei Ministri – sono state finalmente varate alcune misure specifiche a sostengo del lavoro domestico, rimasto escluso dal precedente Decreto Cura Italia: il nuovo Decreto riserva infatti ai lavoratori domestici un’indennità di euro 500 mensili per i mesi di aprile e maggio 2020 e prevede inoltre la possibilità di regolarizzare i rapporti di lavoro in nero.



L’indennità, ai sensi dell’art. 90 del Decreto, verrà erogata in un’unica soluzione da parte dell’Inps (sino al limite di spesa complessivo di 460 milioni di euro per l’anno 2020) dietro apposita domanda che i lavoratori potranno presentare in via telematica tramite il sito Inps ovvero presso gli Istituti di Patronato. Beneficiari dell’indennità sono i lavoratori domestici non conviventi che abbiano in essere, alla data del 23 febbraio 2020, uno o più contratti di lavoro per una durata complessiva superiore a 10 ore settimanali, e ciò indipendentemente dal fatto che nel periodo coperto dall’indennità il domestico abbia continuato a lavorare, fruito di un periodo di ferie, di un permesso non retribuito o di una sospensione extraferiale (nei giorni precedenti l’approvazione erano filtrate ipotesi secondo cui la platea dei beneficiari sarebbe stata circoscritta ai lavoratori che avessero subito ad aprile e maggio una riduzione di almeno il 25% dell’orario complessivo di lavoro).



È quindi possibile per il lavoratore domestico cumulare l’indennità di 500 euro con il compenso per il lavoro eventualmente svolto nel mese di aprile e di maggio 2020, arrivando a percepire un trattamento addirittura superiore a quello che gli sarebbe spettato in assenza della emergenza epidemiologica. Qualche datore di lavoro, duramente colpito dalla crisi perché costretto magari a chiudere la propria attività o in cassa integrazione, potrebbe essere tentato di chiedere al lavoratore domestico di compensare l’indennità in questione con le spettanze mensili; il che non sarebbe assolutamente ammissibile, dal momento che il contributo è destinato non al datore di lavoro ma al lavoratore domestico e quest’ultimo non può essere privato, nemmeno in parte, del compenso dovuto per il lavoro svolto.



L’indennità non è invece cumulabile con le altre misure economiche di sostegno già approvate del Governo (indennità professionisti e lavoratori con rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, indennità lavoratori autonomi iscritti alle Gestioni speciali dell’Ago, indennità lavoratori stagionali del turismo e degli stabilimenti termali, indennità lavoratori del settore agricolo, indennità lavoratori dello spettacolo, reddito ultima istanza, reddito di emergenza), e non spetta al lavoratore titolare di pensione (ad eccezione dell’assegno ordinario di invalidità) e ai percettori del reddito di cittadinanza, a meno che l’importo dell’assegno non sia inferiore ai 500 euro. In questo caso l’indennità covid spetterà solo in misura integrativa fino al raggiungimento del tetto massimo di 500 euro mensili.

La seconda misura rivolta al lavoro domestico, disciplinata dall’art. 110 bis, riguarda la possibilità per i datori di lavoro di mettere in regola colf e badanti (e, più in generale, i lavoratori in nero italiani o stranieri dei settori agricoltura, allevamento, zootecnia, pesca). L’art. 110 bis disciplina due ipotesi: la prima prevede la possibilità per i datori di lavoro di presentare un’istanza per concludere un contratto di lavoro subordinato con cittadini stranieri presenti sul territorio nazionale ovvero per dichiarare la sussistenza di un rapporto di lavoro irregolare, tuttora in corso, con cittadini italiani o stranieri; la seconda prevede la possibilità per i lavoratori stranieri (con permesso di soggiorno scaduto dal 31/10/2019 e che abbiano svolto attività lavorativa prima di tale data) di richiedere un permesso di soggiorno temporaneo della durata di sei mesi.

Nella prima ipotesi, è previsto il pagamento da parte del datore di lavoro di un contributo forfettario di 400 euro e di un ulteriore contributo forfettario per le somme dovute dal datore di lavoro a titolo retributivo, contributivo e fiscale, da determinarsi con un successivo decreto; nella seconda ipotesi, i lavoratori saranno tenuti a versare un contributo forfettario di 160 euro e, se nei sei mesi di permesso temporaneo verrà esibito un contratto di lavoro subordinato, il permesso temporaneo verrà convertito in permesso per motivi di lavoro.

In entrambe le ipotesi è richiesto che i lavoratori risultino presenti in Italia alla data dell’8 marzo 2020 e che le istanze vengano presentate tra il 1° giugno e il 15 luglio 2020. Non sono ammessi gli stranieri nei confronti dei quali è stato emesso un provvedimento di espulsione e i condannati per una serie di reati gravi.

Il provvedimento di “emersione” dei rapporti di lavoro irregolari è stato adottato dal Governo con l’esplicita finalità di “garantire livelli adeguati di tutela della salute individuale e collettiva in conseguenza della contingente ed eccezionale emergenza sanitaria” e “di favorire l’emersione di rapporti di lavoro irregolari” e potrà avere un grande impatto sul lavoro domestico, notoriamente connotato da una larga diffusione del lavoro sommerso, registrando un tasso di irregolarità di circa il 58%, pari a circa 1,2 milioni di lavoratori. In un periodo come quello attuale di emergenza sanitaria e di grave incertezza economica, la regolarizzazione dei rapporti di lavoro, oltre che un dovere civico, costituisce il presupposto necessario per le famiglie e per i lavoratori per fruire delle tutele di legge (comprese quelle previdenziali) e dei supporti economici (come l’indennità covid).

Sulla base dei calcoli relativi al valore del lavoro prestato dai collaboratori domestici irregolari, effettuati dall’Osservatorio Nazionale Domina sul Lavoro Domestico – Rapporto 2019, la sanatoria potrebbe portare, se tutti i lavoratori in nero fossero regolarizzati, a un aumento fino a 2 miliardi di entrate per le casse dello Stato, di cui 1,4 miliardi in termini di contributi assistenziali e previdenziali e 645 milioni di Irpef e addizionali locali. Una precedente sanatoria del 2012 aveva già portato a un significativo aumento dei rapporti regolarizzati. Purtroppo il numero dei rapporti di lavoro regolari è diminuito nel corso degli anni (con un incremento pressoché corrispondente dei rapporti di lavoro irregolari) a dimostrazione della necessità di un alleggerimento degli oneri a carico delle famiglie (una proposta avanzata da più parti prevede la deducibilità fiscale almeno di una parte dei compensi erogati e l’abolizione del limite massimo di euro 1.549,37 attualmente previsto per la deducibilità dei contributi versati per colf e badanti), che costituiscono l’ostacolo più rilevante all’emersione del mercato nero.

La regolarizzazione dei contratti di lavoro rappresenta un indubbio beneficio per un settore economico e sociale in costante sviluppo (secondo gli ultimi scenari Istat, nel 2050 gli anziani over 80 e i bambini under 14 rappresenteranno circa un quarto della popolazione, ed è previsto un incremento del 70% del numero di badanti e babysitter) e di fondamentale importanza per il nostro Paese, facendosi carico della cura delle famiglie e dell’assistenza delle persone anziane e non autosufficienti e garantendo allo Stato un risparmio fino a 10 miliardi l’anno (ovvero lo 0,56% del Pil 2017), secondo i dati calcolati dall’Osservatorio Nazionale Domina sul Lavoro Domestico – Rapporto 2019, in termini di costi di gestione di strutture per l’assistenza.

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