Il virus è un fattore esterno, imprevisto e ignoto, che ci ha costretto in tempi rapidi a cambiare le nostre vite. Ha creato per ora pochi fenomeni da panico (l’assalto ai forni c’è stato solo in forme lievi), ma in compenso la diffusione della paura è estesissima, quasi una coltre su tutte le cose rilevabile anche al tatto.



Questa nuova sfida ha poi anche un modo subdolo per indebolirci. Ci vieta di prenderci per mano. Da sempre gli uomini, di fronte ai pericoli esterni, si stringono a coorte, si tengono stretti per rispondere assieme. Oggi invece dobbiamo rispondere assieme ma rimanere rigorosamente isolati.

È in questi frangenti che deve emergere la forza di ciascuno di noi, il trovare nelle nostre ragioni di fondo la capacità di fare e farci coraggio, di guardare alla sostanza delle cose e accantonare tutte le ambizioni mondane, per fare emergere ciò che ci unisce.



Il richiamo è quello di guardare, e capirne il senso, agli esempi positivi. Ciò che ci mostrano medici e infermieri è il primo grande esempio di umanità in atto, ma lo stesso si può dire di chi svolge un lavoro per cui in tutto questo periodo non può isolarsi come sarebbe giusto per tutti. È questa sfida che mette però in luce come le debolezze del nostro sistema hanno minato anche la capacità di essere fino in fondo comunità, capace di rispondere sì con slancio altruistico, ma anche con tutti gli strumenti necessari messi a disposizione.

Le mancate riforme di questi anni sono oggi buchi nella tela di resistenza mentre avremmo bisogno di avere una struttura di sostegno più salda. Quando si è riformato il Titolo V della Costituzione, con conseguente disegno autonomistico delle Regioni, non si è tenuto conto di momenti di emergenza nazionale. Dovremo ricostituzionalizzare tutto ciò che, pur necessario, è parso goffo e assurdo in questo periodo. Lo stesso vale per la ricerca di un super-commissario per gli approvvigionamenti mentre da anni si invoca di superare la logica degli infiniti controlli formali su acquisti e appalti per realizzare un sistema che privilegi tempi ed efficacia.



Sono esempi parziali, ma che indicano come il dibattito di questi anni è stato lontano dall’essere calato nella realtà e ha risposto a un moto di protesta disgregante con soluzioni incapaci di costruire una nuova unità di popolo.

Per quanto riguarda il lavoro, il peso della ideologia, inteso come falsa coscienza della realtà, ha prodotto danni profondi. Questo primo avvio di crisi da virus ci chiede più flessibilità e la capacità di dare contratti chiari a tutte le forme di lavoro al fine di riconoscere a tutti un sostegno al reddito quando avvengono periodi come quello in atto. Da noi negli ultimi anni, appunto per pura ideologia, si sono aboliti i voucher, forme di pagamento tracciabile per tanti lavoretti temporanei, si è intervenuti per rendere difficile il ricorso a contratti a termine, così che oggi ci sono meno strumenti per lavori di qualità nella crisi e per il post-crisi, e si è appesantito e burocratizzato il ricorso alla somministrazione con contratti di apprendistato e a tempo determinato, mettendo in crisi una forma di lavoro che assicura più tutele di altre.

La conseguenza di tutto ciò è che già in questo primo periodo di crisi emerge come sia difficile intervenire a sostegno dei più fragili sul mercato del lavoro. Si sa che il settore della ristorazione e dell’accoglienza hanno forme deboli di contratto o spesso nulla. Tutti questi lavoratori rischiano di non essere visti ed essere lasciati fuori dalle misure da tutela del reddito che si stanno avviando.

Rileviamo intanto che qualcosa si sta muovendo. Emilia Romagna e Veneto hanno definito come intervenire a fronte della decisione di estendere a tutte le imprese il ricorso alla cassa integrazione sia ordinaria che straordinaria. L’Agenzia del lavoro veneta si segnala per aver definito un percorso semplificato di accesso ai servizi. Il modello presentato rende operativa l’impresa che comunica al Centro per l’impiego le sospensione del lavoro previsto tramite i modelli delle comunicazioni obbligatorie e fa in contemporanea domanda di attivare la cassa per i lavoratori coinvolti. C’è da augurarsi che in tempi brevi questo esempio sia seguito dalle altre regioni in modo da rendere operative le decisioni prese a livello nazionale.

Come già detto, ciò però non basta e soprattutto non basterà quando sarà superata la fase di crisi. Non basta perché anche con tutto l’impegno profuso in questi giorni sono scoperte da tutele molte fasce di lavoratori dipendenti. Senza dimenticare quei lavoratori autonomi che hanno diritto a sostegni al reddito, ma per i quali non si è ancora elaborato un percorso rapido e semplice per l’ammissione delle tutele.

Vi è poi da incominciare a pensare alla fase futura che sarà caratterizzata dalla difficoltà di rientro al lavoro. Servirà un piano straordinario di politiche attive del lavoro e di sostegno per le PMI. Fin da ora sarebbe bene che si decidesse di sbloccare a tal fine tutti i fondi europei ancora disponibili e avviare una progettazione di interventi che veda un’estensione dei soggetti coinvolti e una semplificazione delle regole di controllo europeo (ovviamente previo accordo sul metodo) che oggi complicano e vincolano l’uso dei fondi.

Dobbiamo incominciare a immaginare progetti di sostegno ai consumi e agli investimenti e facilitare la spesa dei fondi europei già disponibili, sarebbe un avvio utile per rilanciare le politiche per lavoro e sviluppo.

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