Aiutare le persone affette da disabilità a reinserirsi nel mondo del lavoro si può. E la diversità, ciò che a prima vista può sembrare solo un limite o un impedimento, si trasforma in valore e in risorsa, per la persona e per l’azienda. Tanto che sul collocamento mirato e-work, una delle agenzie del lavoro più dinamiche e innovative del panorama italiano ed europeo, mostrando grande sensibilità, ha deciso di giocare addirittura una doppia carta: la Fondazione Pino Cova e il progetto Job Station.
Come nasce questo impegno per favorire il reinserimento lavorativo delle persone affette da disabilità psichiche? “Se di impegno si può parlare – risponde Paolo Ferrario, presidente e amministratore delegato di e-work – nasce dalla consapevolezza che le diversità sono un valore. Si deve solamente evidenziarne le eccellenze, trovarne il giusto equilibrio in un contesto normale. Il nostro Gruppo è da sempre attento alle diversità, con investimenti mirati e con tutto il supporto che possiamo dare”.
Certo, non è una cosa semplice, il collocamento mirato può incontrare anche resistenze o perplessità. Ma e-work crede fortemente che il disagio psichico possa diventare un’opportunità. “E’ vero, il disagio psichico – aggiunge Ferrario – è quello forse più complicato da gestire al momento di un inserimento lavorativo. Non si tratta di applicare delle regole o di abbattere barriere architettoniche. Bensì di comprendere e di affrontare ogni singola storia personale nel profondo: i problemi, la nascita degli stessi, le difficoltà, le aspettative, le competenze. Ogni percorso di accompagnamento e inserimento lavorativo di persone affette da disagio psichico è differente dagli altri. Ma differente e, sempre maggiore, è anche la soddisfazione del successo”.
Per dare sostanza e continuità a questi percorsi virtuosi e-work ha dato vita alla Fondazione Pino Cova, il cui scopo è appunto aiutare persone con disabilità e in condizioni di emarginazione sociale, soprattutto giovani, a percorrere un cammino verso l’ingresso nel mondo del lavoro. In che modo? La risposta di Ferrario sembra quasi disarmante per la sua naturalezza: “Come aiutarli? Nel modo più ‘semplice’ e normale: erogando formazione di qualità a chi ne ha bisogno, in modo totalmente gratuito, ma con elevata professionalità”.
Non a caso la struttura fisica della Fondazione Pino Cova, a Milano, dispone di spazi enormi: oltre 2mila metri quadri, quasi totalmente dedicati alla formazione professionale, con cucine, saloni e aule. “Il tutto è inserito in uno spazio consono a conferire tranquillità e serenità con ampi spazi verdi, ma comunque facilmente raggiungibile dalle famiglie. Il nostro obiettivo è accompagnare questi ragazzi in un cammino di realizzazione personale e professionale, consapevoli che non sia un percorso semplice, ma non per questo irrealizzabile”.
Il progetto è pensato anche come un investimento sul futuro. Lo spiega bene il motto scelto per illustrare l’attività della Fondazione, una frase di Warren Buffett, il guru degli investimenti finanziari di successo: “C’è qualcuno seduto all’ombra oggi perché qualcun altro ha piantato un albero molto tempo fa”. Che cosa sta a significare?
“E’ la frase con cui abbiamo voluto raccontare la nostra fortuna – spiega Ferrario -, a quasi vent’anni dalla nascita della nostra azienda, di poter investire in un progetto sociale. Raccogliamo l’ombra di un albero piantato con determinazione e amore da Pino Cova, il nostro fondatore, nel 2000. Perché fare belle cose è più facile se le hai nel Dna. E questo stesso messaggio vorremmo diffonderlo a chi incontrerà la nostra Fondazione nel suo cammino: le cose si fanno meglio se aiutati da chi ci precede, da chi ci circonda e da chi ci seguirà. La nostra Fondazione vuole essere proprio un veicolo collegiale per migliorare le situazioni di emarginazione e solitudine professionale”.
Pino Cova, operaio, sindacalista, politico e infine imprenditore, morto nel 2013 nel giorno della festa dei lavoratori, ha dedicato la propria vita professionale alla valorizzazione del ruolo del lavoro, come diritto per tutti, ognuno con le proprie “diversità”. “E l’ombra di quest’albero – confida Ferrario – ci ha inevitabilmente contagiati. Da qui la voglia di restituire una parte del nostro reddito aziendale al tessuto sociale che, direttamente o indirettamente, ci ha permesso di diventare un gruppo da oltre 140 milioni di fatturato”.
Accanto alla Fondazione Cova, e-work punta con forza anche sul progetto Job Station. In cosa consiste? “L’idea di Job Station nasce nel 2011 – interviene Lucia Borso, coordinatrice di una Job Station per conto di Impresa Sociale Continua-Gruppo e-work – grazie alla call for ideas ‘Give Mind a Chance!’, promossa e coordinata da Fondazione Italiana Accenture, da Progetto Itaca Onlus e da altri enti del terzo settore con l’obiettivo di trasformare una storia di disagio psichico in risorsa”.
In pratica, Job Station è un centro di smart working assistito per lavoratori iscritti alle categorie protette con invalidità di origine psichica, un modello che permette alle aziende di assumere il telelavoratore, di computarlo nella quota d’obbligo ex lege 68/99 e di godere degli incentivi previsti dalla normativa, e ai lavoratori di lavorare in un contesto protetto, gestito da tutor esperti. Oggi, sono cinque le Job Station attive in quattro città italiane (Milano, Roma, Pavia e Monza Brianza) e i percorsi di lavoro avviati sono più di 70 con venti aziende partner.
“Un traguardo importantissimo – assicura Borso – se solo si considera che i destinatari dell’intervento sono persone in età lavorativa appartenenti alla categoria forse più svantaggiata in termini di effettiva occupabilità, connotata infatti da un alto tasso di disoccupazione – stimabile tra l’85 e il 90% – nonostante risulti la categoria più rappresentata tra le nuove iscrizioni al collocamento mirato nell’ultimo decennio: circa il 40-45% delle nuove iscrizione annue è di tipo psichico”.
L’accesso al mondo del lavoro per questa fascia di popolazione, cosiddetta “debole”, è reso ancora più ostico dal forte pregiudizio di cui soffre e dal timore delle aziende di non avere gli strumenti per gestire queste risorse. In questo senso, “il valore aggiunto di Job Station è quello di fornire luoghi di lavoro accoglienti dove, con l’assistenza di tutor e psicologi esperti, chi vive questo tipo di disabilità può lavorare in serenità ed esprimere al meglio il proprio talento”.
Tutti i Job Stationer sono infatti professionisti che hanno superato un momento di fragilità e sono pronti al reinserimento nel mondo del lavoro. Attraverso la definizione di mansioni telelavorabili, le aziende possono individuare il candidato più adatto e formarlo appositamente per coprire le proprie necessità. Le nuove tecnologie e lo smart working permettono di garantire la performance “da remoto”, ovvero consentono ai telelavoratori con disabilità di origine psichica, e quindi con difficoltà di tipo emotivo/relazionale, di svolgere le proprie mansioni dai centri Job Station, contesti protettivi rispetto ai fattori potenzialmente stressogeni presenti in azienda.
Aggiunge Borso: “La permanenza in Job Station è comunque da intendersi come punto di partenza e non come punto di arrivo, dal momento che costituisce un graduale accompagnamento in azienda: dopo un periodo che può andare dall’anno ai tre anni, i Job Stationer transitano gradualmente in azienda, fino a uscire dal programma.
Inoltre, lo smart working presenta un alto grado di flessibilità organizzativa, visto che è uno strumento molto adatto all’avviamento al lavoro anche di persone che vi sono lontane da molto tempo. “Lo smart working – sottolinea Borso – si presta a facilitare il passaggio presso la sede aziendale per i lavoratori che hanno svolto un percorso in Job Station e sono quindi pronti a entrare in un contesto aziendale. Ed è utile per ri-accogliere il lavoratore con disabilità qualora attraversi un periodo di crisi e necessiti di un allontanamento temporale dall’azienda e un periodo di compensazione all’interno di un contesto comunque lavorativo e con un monitoraggio attento e costante da parte dei tutor”.
Job Station, insomma, è un modello win-win, che presenta non solo vantaggi significativi per la persona, che ha l’opportunità di ri-costruire il proprio futuro lavorativo, ma ha anche diversi impatti significativi in azienda.
Innanzitutto, assumendo un Job Stationer le aziende assolvono agli obblighi della legge 68/99 e possono accedere agli incentivi e alle agevolazioni previste dalla normativa.
In secondo luogo, possono promuovere l’inclusione e la diversità, un’apertura all’esterno che – immettendo persone delle più diverse nature ed estrazioni e scegliendole esclusivamente per le loro competenze e il loro talento – rende più competitivi rispetto alle aziende cristallizzate su schemi e paradigmi tradizionali.
Terzo vantaggio: si crea la possibilità di generare crescita personale nei colleghi che lavorano come supervisor, introducendo quindi una cultura aziendale che abbia sempre meno timore del “diverso” e sappia riconoscere le persone come portatrici uniche di competenze e talenti.
Infine, scatta l’opportunità di stimolare collaborazione e interazione innovativa tra le funzioni di business, Hr, responsabilità sociale d’impresa. Grazie a Job Station si dà vita, infatti, a un circolo virtuoso che si alimenta con i risultati portati al business dai Job Stationer, dall’Hr che matura nei propri processi di onboarding e gestione delle persone con disabilità, in particolare con disabilità psichica, in collaborazione con la responsabilità sociale d’impresa, spesso apripista delle soluzioni di inclusione più innovative.
“All’interno di questo progetto – conclude Ferrario – e-work gioca il ruolo strategico di moltiplicatore delle opportunità di inserimento: se da una parte, infatti, mette a disposizione, come iniziativa Csr, i suoi account/area manager per promuovere Job Station presso le aziende e per seguirle nell’onboarding nella rete di progetto, dall’altra, come ente accreditato presso Regione Lombardia, ha la possibilità di seguire longitudinalmente i percorsi. Inoltre, la stessa Fondazione Cova da gennaio 2020 ospiterà presso la sua sede di via Luigi Caroli a Milano, in sinergia con Fondazione Bertini, una Job Station, mettendo a disposizione del progetto staff specializzato e know how organizzativo”.