Enrico Letta è come Ulisse. Si era fatto legare al palo della nave da Carlo Calenda per resistere al canto delle sirene, ma al dunque non è riuscito nell’intento e si è liberato. È nata così l’alleanza del Pd con Sinistra italiana e con Europa Verde. Ovviamente non è questa rubrica la sede per commentare gli scenari politici che si aprono (e che si chiudono) in questa singolare campagna elettorale, ma è presumibile che in materia di lavoro e di welfare ambedue gli schieramenti scivolino sulla demagogia e restino prigionieri dei luoghi comuni consolidati dalle ideologie vecchie e nuove.
Il centrodestra ha già messo le carte in tavola (nonostante Giorgia Meloni raccomandi – almeno a parole – che non si facciano promesse insostenibili nell’orizzonte cupo dei prossimi mesi). Secondo le indiscrezioni, al punto 9 (dei 15 del programma) relativo a “Stato sociale e sostegno ai bisognosi” si chiede la “Sostituzione dell’attuale reddito di cittadinanza con misure più efficaci di inclusione sociale e di politiche attive di formazione e di inserimento nel mondo del lavoro”. Tra le proposte anche la “ridefinizione del sistema di ammortizzatori sociali al fine di introdurre sussidi universali, l’innalzamento delle pensioni minime sociali e di invalidità, flessibilità in uscita dal mondo del lavoro e accesso alla pensione, controllo sull’effettiva applicazione degli incentivi all’inserimento dei disabili nel mondo del lavoro, piano straordinario di riqualificazione delle periferie, anche attraverso il rilancio dell’edilizia residenziale pubblica.
In sostanza si rimane sulle generali anche se nei comizi e nelle comparsate televisive vengono esposti dei numeri e delle cifre. A partire, per esempio, dall’innalzamento a mille euro per tredici mensilità delle pensioni minime. In una materia delicata come la previdenza non dovrebbe essere consentito giocare con le parole: un conto sarebbe parlare di pensioni, un altro di pensionati. Le prime (dal minimo a 1.026,02 euro lordi mensili) sono circa 6,858 milioni di prestazioni pensionistiche, mentre sono poco più di 4 milioni i secondi. Tale differenza si spiega perché nel reddito pensionistico spesso si cumulano, in capo a uno stesso individuo (questo vale per il 32,7% dei pensionati), più di una prestazione.
Oggi lo Stato eroga all’Inps oltre 21 miliardi all’anno (attraverso la GIAS) per finanziare l’integrazione al minimo che, nel 2022, è pari a 524 euro mensili, mentre quelle che godono delle maggiorazioni sociali (l’ex milione di Berlusconi) arrivano a 660 euro. Anche in questo caso l’integrazione non va alle pensioni (quasi 8 milioni), ma ai pensionati che sono 2.254.372. Per di più la pensione a mille euro garantiti avrebbe delle ricadute notevoli sull’intero sistema pensionistico. Al di sotto di questo importo vi è oggi il 67% dei trattamenti in essere (parliamo di pensioni e non di pensionati). Non è malafede ritenere che se questo fosse il livello della prestazione comunque assicurata a prescindere dai contributi versati, sicuramente sarebbero favoriti gli evasori.
Per quanto riguarda la c.d. flessibilità in uscita è sufficiente ascoltare Matteo Salvini per capire di che cosa si tratta. Per fortuna – a quanto si sa – sembra che il centrodestra non si prenda la briga di infilare la parola “precarietà” in ogni frase e in ogni discorso che gli esponenti di centrosinistra faranno durante la campagna elettorale. L’influenza della Cgil sarà avvertita nelle proposte programmatiche del Pd e dei suoi alleati di sinistra. Tanto più che il M5S ha deciso di condurre una campagna tutta incentrata sulla estremizzazione dei cavalli di battaglia della sinistra politica e sindacale. Il Pd prenderà poco alla volta una posizione autonoma rispetto all’agenda Draghi che pure non trascurava le questioni di natura sociale.
Nelle comunicazioni del 20 luglio il Premier aveva espresso delle proposte chiare. “Accanto al Pnrr, c’è bisogno di una vera agenda sociale, che parta dai più deboli, come i disabili e gli anziani non autosufficienti. L’aumento dei costi dell’energia e il ritorno dell’inflazione hanno causato nuove diseguaglianze, che aggravano quelle prodotte dalla pandemia. Fin dall’avvio del Governo abbiamo condiviso con i sindacati e le associazioni delle imprese un metodo di lavoro che prevede incontri regolari e tavoli di lavoro. Per quanto riguarda il salario minimo va presa a riferimento la direttiva europea; vanno introdotte delle correzione del reddito di cittadinanza. Quanto alle pensioni vanno previste forme di flessibilità in uscita attraverso il consolidamento del calcolo contributivo”. Ma l’agenda Draghi sarà sconfessata prima che il gallo canti tre volte.
Siamo pronti a scommettere che le piattaforme di ambedue gli schieramenti troveranno in materia di lavoro e pensioni più assonanze che dissonanze, salvo che per il Reddito di cittadinanza, che viene preso di mira dalla coalizione di centrodestra, la quale – influenzata dai temi che andavano allora per la maggiore – aveva inserito nel suo programma del 2018 la seguente richiesta: “Azzeramento della povertà assoluta con un grande Piano di sostegno ai cittadini italiani in condizione di estrema indigenza, allo scopo di ridare loro dignità economica”.
Tornando al Pd, anche questa volta ha perso l’occasione per interrogarsi sulla propria identità: è il partito del Jobs Act o delle proposte della Cgil in materia di lavoro? È il partito che, con fatica e dolori di pancia, ha fatto il possibile per non cancellare del tutto la riforma Fornero delle pensioni o quello che sposa le rivendicazioni sindacali di mandare in pensione i lavoratori a partire da 62 anni? È il partito che vuole dare un lavoro ai giovani o che si accontenta di garantire loro una pensione, dopo una vita di assistenza e di lavoro rifiutato? Il fatto è che tra il Pd e le formazioni alla sua sinistra – compreso anche il M5S – esiste lo stesso rapporto che univa il dr. Jekill e mister Hyde. Sono la stessa persona, solo che mister Hyde – ovvero i rosso-verdi e i grillini – sono più liberi di dare sfogo alle loro passioni.
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