L’emergenza sanitaria sta generando una sorta di trasformazione delle iniziative rivolte a contrastare il lavoro sommerso. Nell’ultima Legge di bilancio approvata, come ricorderete, sono state inserire alcune misure, definite draconiane, rivolte a ridurre la circolazione del contante e a introdurre una serie di controlli elettronici sui comportamenti delle imprese e delle famiglie con l’intento di contrastare l’evasione. E con la promessa solenne di evitare qualsiasi condono.
Buona parte di queste misure, con l’avvento del coronavirus, è stata allentata o addirittura sospesa per la parte degli accertamenti. Per una serie di ragioni, la necessità di reperire lavoratori stagionali e di sostenere il reddito dei lavoratori precari per le conseguenze economiche delle misure di lockdown, si pensa di varare una sanatoria per gli immigrati irregolari e introdurre un sussidio al reddito per gli ex lavoratori sommersi.
L’intento, almeno nelle parole, è nobile. Ma non è affatto chiaro il nesso esistente tra i provvedimenti che il Governo si propone di introdurre e i problemi che si vorrebbero risolvere. La carenza di lavoratori stagionali, legata essenzialmente al mancato ingresso dei prestatori d’opera rumeni comunitari, per un fabbisogno stimato di 200mila unità, ammesso che non sia rimediabile con l’allentamento delle misure di lockdown, è ampiamente sopperibile con la manodopera interna disponibile, a partire dal rilevantissimo numero di disoccupati e sottoccupati immigrati regolarmente residenti, dai 700mila beneficiari dei sussidi del reddito di cittadinanza e da 1,2 milioni di percettori dell’indennità di disoccupazione.
L’ipotesi che circola nelle stanze dei ministeri è quella di una regolarizzazione dei rapporti di lavoro per immigrati irregolarmente presenti in Italia, per una fantomatica stima di 600mila persone, non riscontrabile in nessuna statistica rilasciata dall’Istat, con il pagamento di una modesta somma a titolo di contributi arretrati da parte dei datori di lavoro. Le sanatorie per la finalità di far emergere gli immigrati irregolari, per i tempi richiesti per le verifiche delle domande da parte dei sportelli unici, non prima di tre mesi e fino a due anni, sono incompatibili con le esigenze della stagionalità. Infatti, nessuna delle grandi organizzazioni dei datori di lavoro agricoli le sta richiedendo come soluzione del problema. La storia di queste procedure, come quella dei decreti per le quote di ingresso per motivi di lavoro, è densa di abusi e di simulazioni dei rapporti di lavoro per la finalità di avere un permesso di soggiorno.
Tra l’altro, buona parte degli immigrati implicati nei rapporti di lavoro irregolari, come evidenziato nelle indagini degli ispettori del lavoro, è regolarmente residente in Italia. Per quelli irregolarmente presenti, la legge prevede il rilascio di un permesso di soggiorno per quanti collaborano con le indagini degli organi ispettivi sul lavoro sommerso.
Ma l’aspetto che mi preme sottolineare è il singolare cambiamento di paradigma che è intervenuto nella maggioranza di governo sul tema del contrasto del lavoro sommerso. Le sanatorie, o regolarizzazioni dei rapporti di lavoro come si preferiscono chiamare, sono a tutti gli effetti dei condoni. Infatti, il presupposto della loro efficacia, oltre alla regolarizzazione dei rapporti di lavoro, è la garanzia offerta al datore di lavoro di risolvere con una leggera ammenda tutti i reati civili, fiscali, contributivi, salariali nei confronti dello Stato e del lavoratore. Con evidenti implicazioni anche per la stessa stima del valore aggiunto evaso dalle imprese.
Ma anche i sussidi al reddito, soprattutto quando sono disgiunti da un rapporto di lavoro in essere, come le casse integrazioni, o le indennità di disoccupazione per la perdita involontaria del lavoro, diventano inevitabilmente una sorta di incentivo alle pratiche di lavoro sommerso. La relazione è ampiamente documentata nelle ricerche sul campo e dalle indagini degli ispettori del lavoro. I sostegni al reddito, possono fornire un aiuto provvisorio alle famiglie, ma nel medio periodo sono vantaggiosi solo se integrati con introiti da lavoro sommerso.
In buona sostanza i sostegni al reddito, soprattutto di lunga durata e disgiunti da un rapporto di lavoro, da forte condizionalità per la ricerca del lavoro e per l’accettazione di un’offerta di lavoro, diventano un incentivo per il lavoro sommerso.
Nel caso del reddito di cittadinanza il lavoro nero non è accertabile per i requisiti di accesso ai benefici. La probabilità che possa essere accertato a posteriori dagli ispettori del lavoro o della finanza è pari a quella dei prefissi telefonici. Quanto alle offerte di lavoro che devono essere accettate dai titolari dei sussidi è la stessa legge che consente di rifiutare i lavori a termine, part-time o stagionali.
Con il pretesto del coronavirus, si sta ventilando la possibilità di introdurre un sussidio provvisorio denominato Rem (Reddito di emergenza) di 500 euro per gli ex lavoratori sommersi, evidentemente sulla base di autodichiarazioni rilasciate dagli interessati, e con una riduzione delle sanzioni per i beneficiari che svolgono contemporaneamente un lavoro sommerso. E così il cerchio si chiude. Il sussidio pubblico diventa un disincentivo a cercare un lavoro regolare e un incentivo per esercitare prestazioni sommerse per integrare il reddito familiare.
Si potrebbe fare diversamente? Eccome! Ad esempio, con la messa a regime di liste di disponibilità dei beneficiari dei sussidi vincolati ad accettare le proposte di lavoro regolari anche a termine. Con la possibilità di rientrare nei benefici una volta esaurito il rapporto. In queste liste potrebbero essere mobilitati gli immigrati disoccupati in gran parte ignobilmente esclusi dalla legge dai benefici del reddito di cittadinanza. Ovvero offrire una parte del sussidio o di voucher equivalenti alle imprese e alle famiglie per incentivare le assunzioni di questi lavoratori. Potrebbe essere anche un modo per coinvolgere le parti sociali e per regolarizzare i rapporti di lavoro con modalità coerenti alla reale condizione delle imprese e dei lavoratori.
Ma tutto questo non sarà fatto. Perché non coincide con la ragione sociale e gli interessi dei principali sostenitori di queste proposte. Intendiamoci, interessi legittimi e finalità che sono utilissime per la coesione sociale. Ma che nella fattispecie possono non coincidere con quelli generali e della stragrande parte degli immigrati residenti in Italia. Con il proseguo della crisi, il Rem diventerà il Rep (Reddito di emergenza permanente) e l’esigenza di rendere sostenibili i redditi di milioni di famiglie favorirà un’ulteriore crescita del lavoro sommerso sussidiata dallo Stato. Ma per favore risparmiateci le retoriche moralistiche sulla lotta alla povertà, la difesa della dignità del lavoro e sugli immigrati che sono necessari per fare i lavori che gli italiani rifiutano.