Ci sono due fattori principali che nello scorso decennio vedono convergere diversi studiosi in merito al futuro dei lavori: i giovanissimi (i bambini che frequentano le scuole oggi – World Economic Forum 2018) saranno chiamati a svolgere lavori che ancora non esistono; diversi lavori attuali saranno significativamente modificati dalla tecnologia con conseguente “rischio di sostituzione” di alcune attività (robotizzazione) o di delega delle stesse ad attori che non fanno parte dell’organizzazione aziendale (per esempio home banking, certificati elettronici, ecc.).
Questi studi all’inizio hanno generato interesse e perplessità sia perché identificavano degli scenari potenziali “incerti”, sia perché le ipotesi effettuate prevedevano un’attuazione nel giro di un decennio o poco più. Più passa il tempo però più si rafforzano le ipotesi tracciate dagli studi degli ultimi anni e nello stesso tempo si intravvedono alcuni elementi e fatti che meglio contestualizzano e descrivono tali fattori di grande cambiamento. In particolare, la struttura del mercato del lavoro a livello globale e soprattutto europeo sta radicalmente cambiando per effetto dell’innovazione tecnologica – dell’intelligenza artificiale – della globalizzazione e della transizione ecologica. Questi elementi si sono intersecati negli ultimi anni con alcune grosse crisi economiche, da ultima quella pandemica del 2020.
Queste crisi hanno aumentato le criticità del nostro mercato del lavoro colpendo maggiormente i soggetti più deboli (giovani e donne) e nello stesso tempo hanno messo in evidenza l’esigenza di interventi strutturali per affrontare le sfide che le grandi trasformazioni in atto richiedono (innovazione dei sistemi educativi e formativi, politiche attive, riforma degli ammortizzatori sociali, interventi sulla fiscalità, ecc.).
Le conseguenze per il mercato del lavoro sono numerose: il digitale è sempre più pervasivo in tutte le professioni, la globalizzazione ha creato un’alta mobilità del lavoro e la transizione ecologica richiede nuove competenze per garantire sostenibilità ambientale e più in generale maggior attenzione alla qualità della vita delle persone e delle comunità.
Le ricadute in termini di policy sono numerose e hanno a che fare con l’intreccio di diverse azioni di politica economica e di politica del lavoro. L’innalzamento della partecipazione al mercato del lavoro di giovani e donne e il mantenimento nella vita attiva dei senior richiede una riformulazione dei programmi nazionali di apprendimento che devono riguardare l’intero arco della vita, dove non solo le conoscenze e competenze tecniche, ma anche quelle personali (le cosiddette soft skill) devono essere continuamente fatte evolvere.
Questo cambiamento è radicale in quanto riguarda tutti i lavori e tutte le occupazioni, sia quelle maggiormente qualificate che quelle a bassa qualifica. Nel rapporto Sussidiarietà e…lavoro sostenibile abbiamo analizzato il cambiamento delle skill richieste tramite gli annunci di lavoro pubblicati sul web dalle aziende negli ultimi cinque anni per oltre 270 professioni. L’indice di cambiamento delle skill richieste ha un valore medio pari al 30%, ciò significa che mediamente il 30% delle skill richieste variano in termini di importanza e/o sono nuove. Da queste analisi si evidenzia che è in atto una trasformazione estremamente significativa delle professioni in cui competenze digitali e soft skill rivestono sempre più un ruolo primario.
È necessario dunque che conoscenze e competenze siano messe al centro delle politiche attive del mercato del lavoro, attraverso il concorso sia dei programmi di educazione formale, sia dei programmi di formazione aziendale.
Ragionare in termini di competenze risulta decisivo per poter affrontare in modo efficace i mismatch presenti nei diversi mercati del lavoro locali. Le misure fiscali, i modelli organizzativi aziendali (per esempio, impatto dello smart working), la ridefinizione degli orari di lavoro possono accompagnare gli investimenti formativi senza che questi debbano essere vissuti come un costo dall’incerto ritorno sia dai lavoratori che dai datori di lavoro.
Le sfide che abbiamo davanti sono molto rilevanti e richiedono un deciso cambio di rotta rispetto al passato. In un mercato del lavoro sempre più dinamico e in forte evoluzione occorre riportare la persona al centro del lavoro. Un lavoro che sia dignitoso, abbia la giusta retribuzione, sia parte integrante della costruzione della comunità in cui si vive e quindi fattore primario dello sviluppo sociale ed economico. In questa prospettiva si può pensare che la rivoluzione green, l’adozione di nuove tecnologie e la globalizzazione possano essere guidate e sostenute da un numero crescente di lavoratori che partecipino attivamente allo sviluppo.
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