Tra i membri del Governo, il ministro dell’Economia Gualtieri si è sempre distinto nel mantenere un sano realismo nel gestire i momenti di tensione interni alla compagine della maggioranza del Governo, attento nel ricondurre verso soluzioni ragionevoli e compatibili con l’evoluzione degli eventi.
Così è stato per la gestione delle contrapposizioni sull’utilizzo del Mes, per individuare percorsi di uscita nelle controversie con gli imprenditori privati dell’Ilva e di Autostrade, nell’accantonare i propositi di fare riforme epocali sul fisco di fronte alla palese confusione tra le diverse proposte messe in campo dalla compagine governativa.
In una recente uscita nella trasmissione Porta a Porta, ha di fatto accantonato anche i propositi di avviare un’ulteriore riforma dei sostegni al reddito, sulla carta ancora nel calendario sulla base di quanto annunciato dalla ministra del Lavoro Catalfo. L’orientamento che traspare nelle dichiarazioni del nostro ministro dell’Economia è invece quello di accompagnare l’auspicabile ripresa delle attività produttive, con misure di sostegno differenziate sulla base degli impatti economici e occupazionali prodotti dall’emergenza sanitaria e dei conseguenti comportamenti dei consumatori. Probabilmente preoccupato dalle anticipazioni sulla riforma degli ammortizzatori sociali, scaturite dal lavoro della commissione istituita dalla collega del dicastero del Lavoro, che propongono di allargare strutturalmente l’accesso alle casse integrazioni a tutti i settori e per tutte le aziende, a prescindere dal numero dei dipendenti, di estendere le indennità di disoccupazione anche ai lavoratori autonomi, considerando persino l’ipotesi di erogare questi sussidi sulla base di soglie minime e, almeno in parte, indipendentemente dai contributi versati per lo scopo e dall’anzianità lavorativa maturata dai beneficiari.
La copertura finanziaria di questa riforma oscillerebbe da un minimo di 10 a circa 20 miliardi di euro in relazione alla gradualità dell’attuazione delle proposte avanzate, da mettere in carico all’erario ovvero a un aumento dei contributi sociali, in contromano con l’intento ufficialmente annunciato di proseguire nella riduzione del cuneo fiscale e contributivo sul costo del lavoro a carico delle imprese.
Al di là dell’evidente incompatibilità finanziaria, una riforma di questo genere si presterebbe a un enorme potenziale di abusi. Il modello della cassa integrazione, in via ordinaria, può funzionare in modo ragionevole nell’ambito di organizzazioni del lavoro relativamente stabili per far fronte a delle fasi di riduzione della domanda. In particolare nei comparti della manifattura e delle grandi organizzazioni dei servizi. Ma è del tutto inadeguato per i settori dei servizi, e non solo, caratterizzati da una forte stagionalità della domanda. In questi ambiti, come nelle piccolissime attività produttive, l’estensione delle casse integrazioni si presterebbe a molteplici abusi e a un improprio e costoso intervento dello Stato per compensare il reddito dei lavoratori nei periodi di assenza del lavoro, per il quale viene attualmente previsto l’accesso alle indennità di disoccupazione per la perdita involontaria del lavoro in rapporto all’anzianità contributiva maturata dai singoli lavoratori. Una possibilità attualmente già prevista anche per i lavoratori autonomi parasubordinati, iscritti nella gestione separata dell’Inps, nella forma dell’indennità una tantum, la cosiddetta “dis-Coll”.
Quelle circolanti, più che idee di riforma dei sostegni al reddito per la perdita involontaria del lavoro sembrano il tentativo di consolidare, con nuove modalità, quanto sperimentato nella fase di emergenza Covid e nella direzione di ampliare gli interventi assistenziali del reddito di cittadinanza, accompagnandoli con l’ennesimo proposito di vincolare i beneficiari all’accettazione di nuove offerte di lavoro.
Di fronte a l’evidente difficoltà dell’attuale compagine governativa di intraprendere una credibile stagione di riforme, la scelta di ridimensionare gli interventi verso obiettivi più praticabili, cercando di limitare i danni potenziali, e di accompagnare la ripresa dell’economia attraverso interventi mirati alle specifiche esigenze della produzione e del lavoro, oltre che ragionevole sembra persino lungimirante.
Un approccio destinato inevitabilmente a condizionare anche le scelte macroeconomiche. Il nostro ministro dell’Economia, e presumo lo stesso presidente del Consiglio Conte, sono consapevoli del fatto che le risorse europee del Recovery fund, nella migliore delle ipotesi, verranno rese disponibili nella parte finale del 2021. E che, nel frattempo, le incrostazioni della macchina operativa delle pubbliche amministrazioni e la complessa architettura del decentramento delle competenze istituzionali sono destinate a rallentare i propositi di mettere in atto una rapida ripresa degli investimenti pubblici.
Difficile affermarlo pubblicamente, ma il 2021 si presenta come un anno di transizione assai problematico, e non solo per le incertezze dell’evoluzione del Covid-19. Si tratta nel frattempo di contenere i danni, leggi l’esplosione del debito pubblico, e, in modo ragionevole, di contenere i costi sociali. Da qui l’impegno annunciato di utilizzare in prospettiva buona parte delle risorse messe a disposizione dall’Ue con il Recovery fund e con altri fondi, soprattutto per la parte erogata nella forma dei prestiti, per sostituire gradualmente, e a costi inferiori, le attuali fonti di finanziamento per gli investimenti pubblici e per la spesa corrente già prevedibili.
Per il green, l’economia sostenibile e inclusiva si farà il possibile, in attesa di tempi migliori e di comprendere se le convulsioni interne alla maggioranza governativa, in particolare quelle che riguardano il M5S, e i rapporti con l’opposizione, che condizioneranno la gestione della Conferenza Stato-Regioni, potranno consentire di far qualcosa di meglio.
Un atteggiamento apprezzato dal Governatore della Banca d’Italia Visco, nell’intervista rilasciata ieri sul Corriere della Sera, e destinato a pesare negli equilibri della politica italiana e nelle mediazioni con le parti sociali.
Per questi motivi, almeno nel breve medio periodo, il ruolo del ministro Gualtieri è destinato ad assumere una forte centralità non solo, come naturale, nella governance della politica economica, ma anche nel caso di un mutamento degli equilibri interni alla maggioranza di governo.