I sostegni al reddito per i lavoratori dipendenti, autonomi, professionisti , stagionali, colf e famiglie hanno rappresentato circa il 60% della spesa impegnata con i due decreti del governo finalizzati a contrastare gli effetti economici dell’emergenza sanitaria. Con tutta probabilità saranno oggetto di importanti integrazioni anche nel corso della riconversione in legge nell’ambito del percorso parlamentare e per i fabbisogni di intervento che continueranno a manifestarsi nella fase della lenta ripresa produttiva nel corso dei prossimi mesi.



I dati riguardanti l’utilizzo dei singoli provvedimenti alla data del 10 giugno comunicati dall’Inps consentono di fare una valutazione sull’efficacia degli interventi adottati e alcune proiezioni riguardanti la ragionevole evoluzione degli interventi di questa natura. Nelle stime contenute nelle relazioni tecniche allegate ai decreti in questione, i provvedimenti erano destinati a una potenziale platea di circa 18 milioni di beneficiari, per la gran parte lavoratori dipendenti e autonomi, coinvolti nel fermo delle attività per le misure anti contagio disposte dalle Autorità.



Polemiche a parte, per via dei ritardi legati ai pagamenti delle prestazioni per i lavoratori coinvolti nelle sospensioni di attività in via di soluzione, i provvedimenti sembrano aver colto gli obiettivi: circa 7,5 milioni di lavoratori dipendenti coinvolti sugli 8,4 previsti per le casse integrazioni ordinarie e in deroga, e 3,9 milioni tra autonomi, e professionisti collaboratori e stagionali sugli 4,8 di quelli potenzialmente coinvolgibili, per l’erogazione dei bonus di 600/1000 euro per due mensilità. Per i lavoratori autonomi e per le piccole imprese con fatturati non superiori ai 5 milioni di euro, il secondo decreto ha ulteriormente previsto un contributo a fondo perduto proporzionato alle perdite di fatturato convenzionalmente stimato, e che sarà erogato nei prossimi giorni dall’Agenzia delle entrate.



Meno allineati rispetto alle previsioni, allo stato attuale di avanzamento sembrano essere i numeri riguardanti altri tipi di provvedimenti. Per le colf, 500 euro per due mesi per quelle non conviventi nel nucleo familiare assistito, le richieste avanzate sono state 157 mila rispetto alle 450 mila previste. Per i congedi parentali o in alternativa i voucher per la remunerazione di babysitter, 430mila su 1,7 milioni previsti. Per il reddito di emergenza, 245 mila domande sulle 870 mila previste. Per quest’ultimo provvedimento è stato anche comunicato il numero delle domande respinte, circa 39 mila, sulle 106 mila esaminate (il 36% del campione).

Questi numeri consentono di fare alcune considerazioni di carattere generale:

– I sussidi per le casse integrazioni ordinarie e in deroga hanno offerto una copertura adeguata per i lavoratori. Le criticità si sono manifestate, e in parte sono ancora presenti, sulle tempistiche di erogazione in buona parte dovute all’errore grossolano di non aver previsto nel decreto un’unica causale semplificata per le domande che avrebbe evitato anche l’inutile esame preventivo delle regioni per le casse integrazioni in deroga, che rappresentano il segmento più esposto nei ritardi dei pagamenti.

– Per i lavoratori autonomi e i professionisti, il ritardo delle erogazioni è stato risolto tutto sommato con rapidità. Ma risulta francamente incomprensibile la scelta operata dal Governo di intervenire con il doppio canale dei bonus, indistintamente erogati a prescindere dall’effettivo danno subito, e contributi erogati sulla base delle perdite di fatturato. Scelta che ha comportato un inutile, e costoso, dispendio di risorse, e un sovraccarico nella gestione delle domande per l’Inps.

– I sostegni destinati al reddito di emergenza, così come quelli per le colf, gli stagionali e i collaboratori, sulla base di previsioni e di requisiti di accesso astratti per l’obiettivo di integrare il reddito di persone impossibilitate a essere assunte dalle imprese, ovvero per i nuclei familiari privi di reddito sulla base di autocertificazioni, hanno dimostrato tutta la fragilità di questa impostazione. Figlia della perenne ossessione di offrire risposte a qualsiasi potenziale problema con l’incremento dei sussidi assistenziali. Da questo punto di vista, il sottoutilizzo di questi provvedimenti rappresenta una buona notizia, e un’utile lezione per il futuro.

Nell’insieme, si può affermare che la mole dei provvedimenti adottati si sia rivelata superiore ai fabbisogni, con l’unica criticità legata alle aziende che avranno utilizzato la totalità delle 14 settimane di casse integrazioni prima della del 17 agosto, data di scadenza per il blocco dei licenziamenti. Un tema che è stato fortunatamente appena risolto con il decreto che consente a queste imprese di accedere in anticipo alle ulteriori 4 settimane di Cig già disposte a partire dal 1 settembre p.v..

Cosa ci aspetta nell’immediato futuro?

Per i restanti 4 mesi dell’anno il fabbisogno di coperture per cassa integrazione dovrebbe riguardare, secondo le stime dell’Inps, circa 2,8 milioni di lavoratori, per un importo equivalente di 15 miliardi di euro. In parallelo è previsto un progressivo aumento delle indennità di disoccupazione per almeno 3 miliardi. L’effetto di trascinamento sul 2021 di entrambe le componenti, anche considerando il progressivo dimezzamento del fabbisogno sulla base delle ottimistiche stime operate dal Governo sull’andamento dell’occupazione, renderebbe comunque necessari almeno 25- 30 miliardi di ulteriori risorse. Allo stato attuale le uniche risorse disponibili sono i 20 miliardi da richiedere in prestito dal fondo europeo Sure di recente costituzione. Pertanto con un fabbisogno di almeno 20 miliardi di ulteriori coperture in debito.

L’impatto sul mercato del lavoro dipenderà dalle scelte qualitative che saranno operate dal Governo riguardo l’eventuale proseguo del blocco dei licenziamenti sino alla fine dell’anno in corso, accompagnato da un ulteriore potenziamento delle Cig, molto oneroso e disincentivante per la mobilità del lavoro. E sostanzialmente alternativo rispetto all’esigenza di investire massicciamente sulle politiche attive del lavoro. Sempre invocata a parole e puntualmente smentito nelle scelte operative. La mancanza di un cambio di passo comporterebbe una deriva assistenzialista, del resto già apertamente sponsorizzata da una parte consistente della maggioranza governativa. Di certo, per affrontare con efficacia l’evoluzione degli eventi è necessario modificare i requisiti di accesso alle Cig ordinarie, che allo stato attuale prevedono condizioni di anzianità contributiva per i singoli lavoratori, e per le risorse pregresse già impegnate dalle imprese, che renderebbero impraticabile un utilizzo estensivo dello strumento.

Per quanto riguarda gli interventi rivolti a contrastare l’impoverimento dei nuclei familiari, le negative esperienze del reddito di cittadinanza, e l’evidente inconsistenza delle aggiunte introdotte con il reddito di emergenza, dovrebbero suggerire di riformare il sistema verso un potenziamento dei sostegni ordinari alle famiglie per i minori, e di separare radicalmente questi interventi dalle politiche del lavoro. Queste ultime utilizzate in modo ipocrita verso la promessa di improbabili posti di lavoro a tempo indeterminato, modo per assicurare la continuità dei sussidi assistenziali.

È su questi passaggi, non sulle astratte promesse di realizzare una economia green, digitale e inclusiva, che dovrà essere verificato il cambio di passo del Governo. Altrimenti la deriva è certa. Quella di nuovi debiti a carico dello Stato per finanziare sussidi a oltranza.

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