Da più parti si attende l’avvio degli investimenti previsti dal Pnrr per poter avere un vero balzo all’insù del tasso di occupazione complessivo. La ripresa del mercato del lavoro che abbiamo registrato in questi ultimi mesi non l’ha ancora riportato al livello precedente il lockdown. Mancano circa 700 mila posti e la composizione della domanda di lavoro lascia ancora fuori molte persone impiegate in settori dei servizi che hanno una ripresa più lenta del resto dell’economia.



Ciò che dobbiamo sapere è che l’impatto della pandemia ha accelerato processi già in atto e che dobbiamo prepararci a sfide che impongono cambiamenti di prospettiva per chi vuole affrontare il problema della dignità del lavoro insieme agli obiettivi della crescita dell’occupazione.

Non c’è solo il tema dello smart working. Anzi, questo è un tema che riguarderà circa il 40% dei posti di lavoro. Esclude tutti quelli a basso reddito e riguarda lavori di base e con contatti interpersonali e si avvia a essere per alcune professioni compatibili una più flessibile organizzazione dell’attività, ma non sostituirà il lavoro in presenza e le relazioni dirette fra le persone.



Gli effetti profondi in atto – e che sono stati accelerati dalla crisi sanitaria – erano quelli indotti dalle nuove tecnologie (digitalizzazione dei processi produttivi e applicazione dell’intelligenza artificiale) e dagli effetti della globalizzazione sulle catene della produzione e delle forniture di componenti. Questi cambiamenti, assieme alle misure in atto per la transizione ecologica, hanno innescato cambiamenti negli skills, soft e formativi, richiesti dalle imprese impegnate in una fase di trasformazione.

Per il nostro Paese, che già soffriva di un forte mismatching fra formazione ed esigenze della domanda di lavoro, si rafforza la necessità di guidare gli investimenti per favorire la crescita delle opportunità occupazionali per chi ha alti profili professionali tecnico-scientifici e nello stesso tempo mantenere una buona base occupazionale per le fasce intermedie.



Politiche per rafforzare il canale duale della formazione di nuove figure professionali fino al livello universitario (e con lo sviluppo degli ITS) è indispensabile, ma va anche assicurata la crescita dei settori industriali più avanzati per avere sbocchi lavorativi adeguati.

Nei prossimi mesi assisteremo al dispiegarsi di tre tendenze già in atto. Proseguirà la crescita del lavoro frammentato. Dagli effetti della gig economy all’aumento dei contratti a termine e del part-time involontario crescerà la fascia di lavoratori che rischiano di essere nella fascia di povertà pur avendo un’occupazione.

L’impatto delle nuove tecnologie sia nella manifattura che nei servizi può, in assenza di scelte di politica industriale, portare a investimenti labour saving senza che vi sia compensazione dalla crescita del lavoro in altri settori economici.

In terzo luogo, i cambiamenti porteranno ad accelerare processi di chiusura di imprese, apertura di nuove aziende, richiesta di nuove professionalità, tutti processi che faranno tramontare il posto di lavoro a vita e porteranno il lavoro a essere un percorso di lavori lungo tutto la durata della vita lavorativa con continui momenti di formazione.

Sono questi processi in atto che richiedono le riforme del mercato del lavoro indispensabili per supportare il Pnrr ed assicurare che frutti il massimo impatto sull’occupazione. È evidente che il nostro sistema di ammortizzatori sociali, caratterizzato dalla difesa del posto di lavoro, non corrisponde più alla nuova conformazione del mercato del lavoro. Serve un modello di ammortizzatori sociali che abbia al centro la tutela del lavoratore nelle transizioni lavorative e la tutela sul posto è una variante residuale dello schema. Proseguire con quello attuale non fa che approfondire il dualismo fra tutelati ed esclusi da ogni tutela. In questo modo si riportano anche i sussidi decisi per combattere la povertà alla loro specifica funzione migliorandone la distribuzione e l’efficacia.

Oltre a un rinnovato modello di ammortizzatori è urgente introdurre un sistema di servizi al lavoro che assista tutti i lavoratori coinvolti in transizioni lavorative. Si tratta in questa fase di assicurare servizi sia per chi deve semplicemente adeguare le proprie competenze rimanendo nella stessa impresa, sia per quanti dovranno invece formarsi con nuove conoscenze per cambiare professione.

Nei prossimi anni si valuta che almeno 3 milioni di lavoratori saranno coinvolti in transizioni lavorative e altrettanti in processi di upskilling e reskilling. È una sfida che richiede una chiara governance fra Governo e Regioni, ma soprattutto la creazione di un modello che veda collaborare operatori accreditati e centri pubblici. Senza tale collaborazione è assolutamente impossibile attuare quanto serve e assicurare ai lavoratori i sostegni necessari ad affrontare il cambiamento.

Queste sfide sono anche prove di cambiamento che riguardano il sindacato e tutto il sistema di rappresentanza del mondo produttivo. Non sono un campo dove può proseguire un confronto in cui una parte chiede come se vi fossero risorse infinite. Alle sfide di sistema si può rispondere solo con un patto di responsabilità reciproche. La difficoltà sta ancora nel non voler abbandonare una visione del lavoro legata al secolo passato dove la rivendicazione era la sostanza dell’azione sindacale. Se si devono sviluppare servizi che estendano le tutele a tutti i lavoratori sul mercato e durante le transizioni la posizione di difesa del posto non serve più, e anzi limita la capacità di elaborare strategie adeguate. 

Non serve dire che il lavoro non è solo merce, che non basta lo scambio tempo di lavoro-salario. Per dare dignità a tutti i lavoratori ci si deve misurare con la necessità di assicurare uno status relazionale e di comunità in cui ognuno abbia la soddisfazione a starci, partecipare e farci crescere i propri figli.

Tutto ciò può ancora svilupparsi a partire dal lavoro e dal ruolo di chi lavora non certo dalla cultura dei sussidi distribuiti a pioggia. La sfida riguarda tutte le culture sociali se non vogliono abdicare al loro ruolo nel futuro che stiamo incominciando a vivere.

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