Mettendo in fila gli effetti ancora presenti della pandemia, la guerra di invasione iniziata dalla Russia e gli impatti economici, inflazione e bolletta energetica, che delineano un autunno di difficoltà, dire che serviva una maggiore stabilità politica è una constatazione quasi lapalissiana.
E’ così vero che adesso si è formato uno schieramento da unità nazionale per chiedere al governo rimasto in carica di legiferare sull’energia e togliere un po’ di problemi a chi verrà dopo.
In realtà, il tema dei prezzi dell’energia, assieme agli altri impatti economici creati da guerra e pandemia sul commercio internazionale, potevano essere alla base di un impegno unitario maggiore fra i principali partiti invece di aprire una fase di scontro che accentua l’instabilità del sistema paese.
Gli elementi per un patto per lo sviluppo ci sono ancora tutti. Chi per calcolo ha pensato di chiudere l’esperienza Draghi si ritroverà a dover chiedere ampia collaborazione a tutte le forze sociali per reggere gli scossoni economici in arrivo. Meglio sarebbe stato rendere evidente la necessità di maggiore collaborazione e non inseguire un bipolarismo farlocco per altro inesistente, che accentua solo le debolezze del nostro sistema politico.
La presentazione dei programmi elettorali non ha certo aiutato ad illuminare la situazione. Più che analisi capaci di comprendere e proporre soluzioni per le difficoltà che stanno davanti a noi appaiono come elenchi di tematiche utili solo a confermare appartenenze identitarie e a non contrastare quelli che si ritengono temi particolarmente sensibili presso l’elettorato.
Per quanto riguarda il mondo del lavoro sembra che ci sia un’identità di vedute fra tutti i partiti. Salario minimo per legge e aumento dei salari tramite manovra sul cuneo fiscale. Sono due soluzioni che suonano bene e che valgono per tutti a tacitare i problemi economici autunnali delle famiglie.
Nessuno però approfondisce e illustra come conta di affrontare realisticamente il tema. Bene agire sul cuneo fiscale per recuperare una mensilità aggiuntiva di stipendio. Ma basta rinviare alla lotta all’evasione la copertura? Non vale la pena pensare a come detassare ulteriormente incrementi di produttività di orario o le forme di welfare aziendale?
Per quanto riguarda il salario minimo si può legiferare un numero di euro l’ora, come avviene negli Usa, ma poi si esce dal telefilm dove si credeva di vivere per comprendere che conviene rafforzare il valore degli accordi contrattuali piuttosto che sparare cifre che non trovano corrispondenza con la realtà.
Il nostro paese vanta una tradizione di partecipazione sindacale che assicura la copertura contrattuale a oltre l’80% dei lavoratori. Possiamo agire per distruggere questo patrimonio di partecipazione, possiamo ritenere che si debba proseguire nella disintermediazione e spingere ulteriormente per favorire la rottura dei legami sociali oppure lavorare sul salario minimo e sull’equo compenso per il lavoro attraverso una nuova fase di democrazia economica.
Se riusciamo ad uscire dagli slogan che tendono a semplificare la realtà torniamo a vedere come dietro soluzioni apparentemente simili si nascondono ipotesi sociali diverse. Si possono realizzare traguardi economici di equità sociale attraverso una partecipazione dei corpi sociali della rappresentanza delle imprese e dei lavoratori oppure usare il mercato o i sussidi per dare sollievo economico ma accentuare le forme della solitudine e della disgregazione sociale.
Abbiamo avuto al Meeting un dibattito sui temi caldi del lavoro che è riuscito a non limitarsi agli slogan. La presenza degli amministratori delegati di Bayer Italia e di Philip Morris Italia e del presidente di Conai, uomini e donne di impresa che sono impegnati a sviluppare nuovi modelli di partecipazione, ha reso evidente che le sfide che ci attendono possono essere superate meglio se si apre una nuova stagione di collaborazione fra imprese e sindacato. Superare il mismatching demografico e di competenze che caratterizza il nostro mercato del lavoro richiede percorsi di formazione permanente e condizioni o di lavoro che aumentino il tasso di partecipazione al mercato del lavoro di giovani e donne. Riconoscere che c’è un problema di equo compenso è certo affrontare il tema salariale, ma anche quello delle tutele e dei diritti di fronte a nuovi modelli di organizzazione del lavoro dove gli algoritmi non assicurano da soli la tutela della centralità delle persone.
Il ministro del Welfare e il segretario generale della Cisl hanno portato il loro contributo di proposte accettando l’idea che intorno ai temi del lavoro è possibile pensare ad un patto fra le forze sociali e il governo perché la transizione produttiva indotta dalla crisi e dalle trasformazioni digitale e della sostenibilità diventi un’occasione per una nuova fase di democrazia economica.
Politiche attive del lavoro, formazione continua e sistema duale per rafforzare la formazione giovanile, contratto di apprendistato per l’entrata al lavoro dei giovani, equo compenso e tutela dei minimi salariali fissati dalla contrattazione sindacale possono essere la base per un nuovo dialogo fra sistema delle imprese, sistema della formazione professionale e rappresentanze sociali, sindacali e del terzo settore per dare centralità e dignità al lavoro.
Le forme del neoliberismo e quelle che vedono nell’assistenzialismo la risposta alle sfide che attendono il lavoro nei prossimi anni non sono all’altezza della domanda di dignità e partecipazione che viene dai corpi sociali organizzati. Eppure è questa la ricchezza da cui partire se pensiamo che il lavoro sia la forma di azione più importante con cui l’uomo entra in rapporto con la realtà e con gli altri. Togliere speranza al fatto che lavorando miglioriamo la nostra vita e la vita futura sarebbe il peggior modo con cui vivere le sfide che la realtà ci sta ponendo.
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