Come noto il mondo del lavoro sta vivendo, negli ultimi anni, una profonda trasformazione anche grazie, o per colpa, dello sviluppo della rete e delle nuove tecnologie che ci vogliono “always connected” e stanno, talvolta anche contro la volontà dei consumatori/cittadini stessi, rivoluzionando oltre che la vita professionale anche quella sociale, familiare, ecc. È, in ogni caso, opportuno ricordare come l’impatto economico e sociale, come peraltro già accaduto con le precedenti “rivoluzioni industriali”, di nuove tecnologie sia sempre stato, indubbiamente, ambivalente.
Se, infatti, le nuove tecnologie sono, da un lato, un motore essenziale per la crescita economica e il progresso sociale, dall’altro, queste possono anche sconvolgere le strutture socio-economiche esistenti e far crollare i meccanismi culturali e istituzionali su cui si pongono. Sebbene, quindi, il cambiamento tecnologico sia sempre presente nella storia umana, il suo ritmo e le sue implicazioni socio-economiche non sono state sempre lineari.
Il recente aumento della digitalizzazione con ricorso all’intelligenza artificiale, la più alta penetrazione di Internet a banda larga, lo sviluppo dell’Internet of Things e l’economia delle piattaforme ha, in particolare, aperto la strada a nuove forme di organizzazione del lavoro e sta cambiando, in profondità, le prospettive dello stesso delineando scenari inimmaginabili fino a solo pochi anni fa nel mondo “analogico” per il futuro.
Uno sviluppo relativamente più recente di questa “nuova” economia è l’uso del digitale con riferimento a piattaforme per l’intermediazione, e il coordinamento, di transazioni di servizi. Mentre, infatti, le transazioni di merci comportano solo indirettamente un rapporto di lavoro, la maggior parte dei servizi le transazioni implicano, potremmo dire necessariamente, un rapporto di lavoro diretto tra il fornitore e il richiedente (virtuale o fisico che sia). La rapida proliferazione di queste piattaforme ha, negli anni, sollevato diverse domande sul funzionamento e sui benefici che ne derivano nonché sui rischi associati a questo nuovo modello di lavoro.
Un caso particolarmente spigoloso è quella dei cosiddetti “rider” di cui sempre più spesso si leggono notizie, e vicende personali, su giornali, riviste e, ovviamente, social network. Dopo mesi di trattative sembra si sia trovato, finalmente, un accordo nella maggioranza parlamentare per definire una normativa “ad hoc” per provare a regolamentare questo nuova modalità di lavoro dei tempi presenti.
Le regole dovrebbero entrare in vigore con la forma di un decreto-legge contenente anche norme sulle crisi aziendali (ad esempio, quella della Whirlpool di Napoli) e sulle tutele delle categorie deboli. L’accordo prevede copertura obbligatoria Inail e un mix tra paga oraria e cottimo che, quindi, non subirebbe lo stop totale auspicato dai lavoratori.
Nei prossimi mesi vedremo se l’intesa raggiunta sarà in grado di offrire le risposte che, almeno sulla carta, si propone di dare. Tuttavia il rischio è che, come troppo spesso in passato, si provi a rattoppare un “buco” di un vestito, quello delle regole del lavoro, logoro e probabilmente non più adatto alle mode e alle tendenze del mondo globale in cui viviamo.