Nei prossimi mesi dovremo fare i conti con un ridimensionamento delle prospettive della crescita economica destinato a pesare sul versante dell’occupazione e della tenuta dei redditi delle famiglie. L’intensità di questo ridimensionamento è del tutto incerta, perché direttamente relazionata all’intensità delle tensioni internazionali. Anche nell’ipotesi ottimistica di una soluzione negoziale del conflitto bellico in Ucraina, le variabili geopolitiche sono destinate a incrementare i costi della transizione economica e i livelli di incertezza e di rischio per gli investimenti. Difficile in questo contesto fare delle previsioni sulle prospettive dell’occupazione. 



Sulla base delle recenti stime dell’Istat nel mese di gennaio u.s., il tasso di occupazione delle persone in età di lavoro (59%) è tornato sui livelli precedenti la crisi Covid, quello della disoccupazione (8,8%) risulta persino inferiore di quasi un punto rispetto al febbraio 2020. Il risultato è stato ottenuto anche grazie a una riduzione del numero delle persone in età di lavoro di circa 400 mila unità per via di un esodo pensionistico che è risultato superiore a quello dei nuovi ingressi nel mercato del lavoro. I tempi del recupero dei posti di lavoro, analogamente a quelli della crescita economica, si sono rivelati più rapidi del previsto, tanto da autorizzare la previsione di un completo ritorno sui livelli massimi raggiunti nel corso del 2019 (23,2 milioni) nel primo semestre di quest’anno.



Sul versante qualitativo, il timore di un recupero caratterizzato essenzialmente dalla componente dei contratti a termine è stato ridimensionato. Le assunzioni a tempo indeterminato nel corso del 2021 (+402 mila) risultano superiori a quelle a termine (+312 mila). Con ogni probabilità per effetto di una stabilizzazione di una quota significativa delle precedenti assunzioni a termine. Nel corso del 2021 la crescita delle donne e dei giovani under 35 e stata superiore a quella media. 

L’inversione di tendenza rischia di pregiudicare una parte di questi risultati, e un segnale in questa direzione emerge dall’interruzione della crescita degli occupati nello scorso mese di gennaio, e dal concomitante aumento delle persone inattive che non cercano lavoro. 



Il cambiamento di scenario è destinato a ridimensionare le stime della crescita dell’occupazione collegata agli investimenti del Pnrr, oltre 1,5 milioni di occupati aggiuntivi per i prossimi 5 anni. Un recente aggiornamento delle previsioni occupazionali per gli anni 2022-2026, effettuato dal sistema informativo Excelsior (ministero del lavoro-Anpal- Unioncamere) sulla base degli scenari di crescita economica stimati dal Governo e dalle istituzioni internazionali, conferma la previsione di una crescita media annuale di almeno 260 mila occupati, nello scenario meno favorevole, e un fabbisogno complessivo di almeno 800 mila da parte delle imprese e della Pubblica amministrazione considerando anche il contemporaneo esodo pensionistico di circa 2,8 milioni di lavoratori nel corso dei 5 anni attenzionati.

L’esigenza di ridimensionare queste previsioni quantitative non ci esime dal valutare gli aspetti qualitativi che sono attesi nell’andamento dell’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro. La riduzione delle persone in età di lavoro è destinata ad aumentare nei prossimi 15 anni per l’esodo pensionistico delle generazioni del baby boom, due volte superiore al potenziale numero degli ingressi di giovani under 30. In questa condizione, come già avvenuto nel biennio recente, il tasso di occupazione è destinato a crescere anche in assenza di un aumento del numero degli occupati e un’eventuale crescita del numero assoluto potrebbe riassorbire una quota consistente dell’attuale bacino di 5 milioni di persone disoccupate o inattive che si dichiarano disponibili a lavorare. In parallelo è attesa un’accelerazione del ricambio generazionale e anche quello di genere, dato che il livello di partecipazione delle giovani donne risulta più elevato rispetto alle generazioni precedenti.

La qualità dei nuovi profili richiesti dalle imprese, per effetto delle innovazioni tecnologiche e organizzative attese, dovrebbe aumentare in modo significativo. Secondo le stime Excelsior, il 40% delle nuove assunzioni dovrebbe riguardare profili che richiedono un’elevata qualificazione, grazie anche al contributo della ripresa delle assunzioni (oltre 700 mila nei prossimi 5 anni) nella Pubblica amministrazione. L’esigenza di una maggiore qualificazione viene segnalata in generale per almeno il 90% delle varie tipologie dei profili richiesti.

Sulla carta è uno scenario qualitativo che potrebbe essere persino accentuato dall’esigenza di contrastare gli effetti della crisi pandemica e le conseguenze economiche delle tensioni geopolitiche intensificando gli investimenti sugli asset produttivi e sulle competenze delle risorse umane. Ma l’andamento reale del mercato del lavoro deve fare i conti con l’effettiva capacità di far incontrare la domanda e l’offerta di lavoro, che attualmente risulta difficile per oltre un terzo dei profili richiesti. Un gap destinato inevitabilmente ad aumentare in relazione alla qualità dei profili richiesti. 

Il tema è stato ampiamente sviscerato da numerose analisi che evidenziano il concorso delle numerose componenti che alimentano il fenomeno (motivazioni valoriali, carenze del sistema formativo, deficit dei servizi di intermediazione, assenza di politiche attive adeguate) inversamente proporzionale all’intensità delle iniziative che vengono promosse per rimediare le criticità. Quello che traspare nei numeri è l’insufficienza della dotazione di un’adeguata massa critica di professionalità non solo tecnico-scientifiche e di coordinamento delle filiere produttive, ma per il complesso delle figure intermedie (gli artigiani, gli operai specializzati, gli addetti alle vendite, i conduttori di impianti e di mezzi, ecc.) che si formano nell’ambito delle esperienze lavorative e che coinvolge le mansioni meno qualificate. Una criticità paradossalmente destinata ad aumentare con l’esodo dei lavoratori anziani e che spiega buona parte delle perdite occupazionali strutturali dei lavoratori autonomi. Nel solo settore delle costruzioni risultano non disponibili oltre 200 mila profili richiesti, con ritardi di esecuzione degli ordinativi mai registrati in precedenza.

Una parte significativa del sistema delle medie e grandi imprese sta cercando di affrontare seriamente il problema investendo direttamente sulle competenze dei lavoratori, aggiornando i modelli di selezione del personale e rafforzando i raccordi con le istituzioni formative. Ma questi interventi risultano del tutto insufficienti per la gran parte del sistema dei servizi dove si concentra oltre il 70% dei nuovi fabbisogni.

Il complesso delle misure di politiche del lavoro messo in campo nella seconda parte del 2021 risulta del tutto sovrastrutturale rispetto a questi processi per qualità e per intensità. Sul piano qualitativo la leva principale utilizzata, la generalizzazione della cassa integrazione in costanza del rapporto di lavoro, è destinata a generare un ritardo nell’adempimento delle organizzazioni produttive dei sistemi dei servizi e una riduzione dell’offerta di lavoro disponibile per le imprese che espandono le attività e l’occupazione. Infatti, nel nostro mercato del lavoro si sta verificando una preoccupante coincidenza tra il sottoutilizzo delle risorse umane e la difficoltà di soddisfare i nuovi fabbisogni delle imprese.

Gli incentivi per le nuove assunzioni sono talmente diffusi per tutte le tipologie al punto di perdere le caratteristiche di selettività finalizzate ad avvantaggiare le categorie più disagiate. I numeri del programma Gol (Garanzia Occupabilità dei Lavoratori), avviato nel 2021 con l’utilizzo delle nuove risorse europee – presa in carico di 3 milioni di disoccupati da parte dei Centri per l’impiego nel corso dei prossimi 5 anni; inserimento di 800 mila in corsi di aggiornamento/riconversione professionale; avviamento di 135 mila giovani in percorsi duali scuola lavoro – rappresentano una parte residuale della mobilità lavorativa attesa (circa 6 milioni di transizioni lavorative e 400 mila inserimenti post-scolastici per ogni anno).

Il vuoto cosmico delle nostre politiche attive del lavoro è rappresentato dalla debolezza dei raccordi tra i sistemi formativi e quelli lavorativi, ma sull’onda di due incidenti mortali che hanno coinvolto due giovani studenti lavoratori sono state organizzate manifestazioni contro l’alternanza scuola lavoro con il plauso di una parte del personale docente e di mass media compiacenti e persino delle Istituzioni chiamate a rimediare un ritardo storico che ha già prodotto conseguenze nefaste.

Nella storia dei Paesi sviluppati le crisi di varia natura, a partire da quelle economiche, rappresentano l’opportunità di fare degli esami di coscienza, e di assumere comportamenti che possono favorire una rigenerazione delle relazioni comunitarie con effetti duraturi nel tempo. Questo dipende anche dalla capacità della classe dirigente di analizzare correttamente la realtà e di mobilitare le risorse in modo adeguato. Quanto sta avvenendo sul fronte della dipendenza energetica rappresenta un’utilissima esperienza per evitare errori analoghi in altri campi.

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