Il Jobs Act renziano non è stato solamente la riscrittura, certamente osteggiata dai sindacati più “radicali”, ma anche da una parte del partito dell’ex Premier, della disciplina dei licenziamenti e dell’articolo 18. Uno dei diversi decreti attuativi, infatti, era dedicato alle centrali, già allora, politiche del lavoro di cui si dichiarava, come sempre accade a ogni nuovo Governo, di voler mettere in campo una profonda e, ovviamente, storica rivoluzione.
La riforma, è opportuno sottolinearlo, doveva essere letta insieme all’ambizioso progetto del Premier fiorentino di riscrivere la Costituzione rivedendo anche l’assetto, e il rapporto, tra potere centrale e amministrazioni regionali. Nel nuovo riparto delle competenze, infatti, quella relativa alle politiche attive sarebbe ricaduta tra quelle del legislatore nazionale.
In questo quadro deve contestualizzarsi, quindi, l’istituzione di un’ Agenzia nazionale per le politiche attive per il lavoro chiamata, fondamentalmente, al coordinamento dei servizi e delle misure di politica attiva del lavoro e alla definizione di standard di servizio nazionali che i cittadini avrebbero potuto richiedere in egual modo da Lampedusa a Bolzano.
Un ruolo particolarmente complesso, e ambizioso, se si pensa che, nello stesso decreto, anche per evidenti vincoli di natura costituzionale, viene, confermando sostanzialmente lo “status quo”, prevista l’attribuzione delle funzioni e dei compiti amministrativi in materia di politiche attive del lavoro alle regioni chiamate a garantire l’esistenza e funzionalità di uffici territoriali aperti al pubblico, denominati Centri per l’impiego.
Del fallimento del referendum costituzionale molto è stato detto. Peraltro lo stesso Jobs Act ha subito, negli anni, numerose modifiche dovute al cambiamento dei diversi Esecutivi che si sono succeduti, ma anche di sentenze dei tribunali
In questo contesto più generale anche, come peraltro prevedibile, il Governo di Giorgia Meloni interviene cancellando l’Anpal e rinominando (e riformando?) Anpal Servizi, la società in house del ministero del Lavoro (già Italia Lavoro) impegnata, fondamentalmente, nella realizzazione delle politiche attive del lavoro a favore di persone in cerca di occupazione e nel rafforzamento dei servizi per l’impiego a favore delle fasce particolarmente svantaggiate anche attraverso la gestione delle risorse comunitarie
Viene da chiedersi se la prevista ricentralizzazione delle competenze al ministero del Lavoro serva, o basti, perché, quasi per magia, il sistema delle politiche del lavoro nel nostro Paese inizi, finalmente, a funzionare e a dare risposte concrete ai cittadini e alle imprese. Probabilmente perché questo accada serve, prima di tutto, lavorare sulla qualità delle politiche messe in campo, sulla loro sostenibilità nel medio-lungo periodo e sulla capacità di rispondere effettivamente ai bisogni, per loro stessa natura diversi e talvolta in conflitto, dei tanti microcosmi in cui si articola il nostro Paese.
Il Gol e il Pnrr possono rappresentare, certamente, un’opportunità a condizione che non diventino, come troppo spesso accaduto in passato, terreno di scontro tra amministrazioni regionali e centrali e si costruisca un proficuo clima collaborativo con le parti sociali e i vari stakeholder interessati senza il quale anche i migliori propositi rischiano di rimanere tali.
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