Stesso giorno e praticamente nelle stesse ore. Da un lato l’incontro Governo/Regioni rinvia ogni decisione sul progetto Gol, il nuovo modello di politiche attive, a causa del litigio sul riparto dei fondi. All’incontro fra sindacati e segreteria del Pd la Cgil insiste perché diventi proposta identitaria la proroga del blocco dei licenziamenti e l’estensione della cassa integrazione. Apparentemente due temi distanti, che indicano però il persistere di posizioni divergenti nel giudizio da dare sui cambiamenti in corso nel mondo del lavoro e della produzione e, quindi, sui provvedimenti necessari per favorire le tutele per tutti.
La discussione sul riparto delle risorse da assegnare alle Regioni per l’avvio delle politiche attive ruota attorno a un parametro. La proposta fatta dal ministero del Lavoro prende in considerazione il numero di fruitori del Reddito di cittadinanza per il calcolo del riparto dei fondi. Non essendo stato un provvedimento equilibrato e soprattutto avendo dimostrato ampiamente di non comprendere una popolazione che può facilmente trovare percorsi di inserimento lavorativo, determina una distorsione della distribuzione delle risorse rispetto al peso che hanno le previste transizioni lavorative dovute alle trasformazioni indotte dalla digitalizzazione e dalla sostenibilità.
Il risultato è che, per citare il dato più evidente, le risorse della Sicilia e della Campania sono pressoché pari a quelle assegnate alla Lombardia. Ma non è questione nord-sud. Una regione come la Sardegna viene penalizzata perché ha fruito meno di altre del Reddito di cittadinanza. La conferenza si è aggiornata per questa settimana e probabilmente, anche se con un ritardo ulteriore sulla tabella di marcia, troverà un accordo.
La vicenda mette però in evidenza che anche se a parole tutti dicono che il Reddito di cittadinanza va rivisto, che è chiaro che se ricondotto a misura contro la povertà va mantenuto e cambiato, che è certamente misura sbagliata come politica per l’occupazione, comunque lo si ritiene una misura di cui tenere conto come se fosse un indicatore capace di darci una lettura della realtà. La sinistra subalterna alle strampalate idee dei 5 Stelle non riesce ad archiviare la politica dei sussidi e anche quando cerca di avviare nuove politiche per i servizi al lavoro ed è quasi al traguardo ricasca nell’ideologia della povertà dimenticando che sono lo sviluppo e la formazione, e non il reddito garantito, a tutelare il lavoro.
È questo il punto in comune con chi insiste per prorogare il blocco dei licenziamenti e l’uso esteso della Cig. Non importa che la prima fase di allentamento del blocco dei licenziamenti non abbia creato quei disastri che alcuni avevano previsto: continua a prevalere l’idea che si deve difendere il posto di lavoro invece di tutelare il lavoratore durante tutte le fasi della vita lavorativa, comprese le fasi di transizione di professionalità o di occupazione. La stessa difesa dell’estensione dell’uso della Cig permette di non affrontare il tema della riforma degli ammortizzatori sociali. Oggi il sistema che ha funzionato nella fase emergenziale mostra tutti i limiti di un modello pensato per difendere i posto di lavoro nelle grandi imprese. Non solo non è modello universalistico, ma garantisce sempre di meno le tutele anche nei settori per cui ha funzionato nei periodi passati.
Oggi è all’ordine del giorno, come indicato nel Pnrr, una riforma che assicuri a tutti una rete di ammortizzatori sociali. Deve articolarsi con tutele del reddito sia per affrontare periodi di calo del lavoro rimanendo in carico alla medesima impresa e anche per le transizioni verso una diversa occupazione come per chi è disoccupato e si propone sul mercato del lavoro per cercare una occupazione.
Questo nuovo sistema di ammortizzatori sociali deve sposarsi con le politiche attive del lavoro perché la sfida che ci propongono le trasformazioni tecnologiche in corso richiede per tutti un investimento in formazione come tutela dell’occupabilità. Sia percorsi di upskilling per chi deve solo adeguare le proprie competenze, sia corsi di reskilling per chi deve acquisire nuove professionalità devono trovare nei servizi al lavoro, pubblici o del privato accreditato, il luogo dove finalmente esercitare quella condizionalità che lega sostegni al reddito e percorsi di rioccupabilità che non ha mai funzionato.
Oggi non si tratta di proporla come condizione penalizzante, ma come tutela indispensabile assicurata da un sistema di servizi che prende in carico il bisogno di occupazione di un mercato del lavoro che è passato da un lavoro a vita a una vita di lavori.
Possiamo in sintesi definire così la nuova situazione. La cosiddetta agenda Draghi sta rimettendo in discussione i vecchi schieramenti e ridefinisce i ruoli fra chi condivide il programma di riforme e chi si schiera per la conservazione di un sistema che favorisce un dualismo di tutele. I cambiamenti in corso nell’economia, accelerati dagli effetti della pandemia, portano a vedere come indispensabile e prioritaria una riforma degli ammortizzatori sociali e dei servizi al lavoro che sostengano la mobilità e la tutela dell’occupabilità attraverso la formazione continua dei lavoratori. Queste riforme con il rafforzamento dei percorsi di formazione professionale del sistema duale, scuola-lavoro, dalla fase istruzione e formazione fino al livello parauniversitario degli ITS, sono i pilastri per creare i servizi indispensabili e sostenere l’occupazione giovanile e l’occupabilità lungo tutto l’arco della vita lavorativa.
I conservatori sono tutti quelli che, a destra come a sinistra, difendono la politica dei sussidi, la difesa del posto e non del lavoratore, che bloccano le norme sulla concorrenza, insomma chi sogna di tornare all’economia del secolo scorso invece di contribuire a disegnare il nuovo sistema di diritti e tutele per i lavoratori di oggi e domani.
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