La ministra delle Politiche agricole Teresa Bellanova ha dichiarato: “Raccolti a rischio. I lavoratori stranieri vanno subito regolarizzati“. Parole che daranno vita un acceso dibattito politico, ma non c’è molto da discutere, si tratta semplicemente di fabbisogno di manodopera a bassa qualifica. Nel Rapporto Ismea si legge che nel 2017 il numero di impiegati nel settore agricolo è stato pari a 919.000 unità, di cui quasi mezzo milione stagionali/precari. Si tratta di un esercito di braccianti che lavora tipicamente per un ristretto numero di mesi e che è fondamentale per far sì che frutta e verdure arrivino sulle nostre tavole.
Il reddito medio di un “bracciante” agricolo è la metà di quello medio italiano: si guadagna nettamente di più a svolgere attività non qualificate nei servizi locali delle città. Questo significa che tale occupazione è stata sempre appannaggio dei migranti, in buona parte extracomunitari. È vero che a causa dello shock economico molti disoccupati italiani, pur di lavorare, accetteranno di tornare nei campi, ma questo probabilmente accadrà solo per “alcune” realtà, perché raccogliere i pomodori in piena estate con 40 gradi all’ombra per uno stipendio da fame è un’altra cosa. Senza i braccianti stranieri, semplicemente alcuni prodotti non saranno raccolti e questo causerà un effetto a catena che culminerà nella mancanza di frutta e verdura sugli scaffali dei supermercati.
L’unica possibilità per evitare questa situazione è procedere con una regolarizzazione a punti (basata sull’assolvimento di determinate occupazioni per un certo periodo) degli attuali clandestini presenti in Italia. Senza giri di parole sto parlando dell’impopolare “sanatoria”, diciamo indicativamente per la metà degli oltre 600 mila messi in regola dal Governo Berlusconi nel 2002/2003. Alternative non ce ne sono. L’aumento del salario nel settore (che comunque avverrà) potrebbe infatti non bastare a incentivare i disoccupati a svolgere un lavoro faticoso come quello del bracciante agricolo, che sarà sempre appannaggio delle classi sociali più povere fino al momento della sua automazione. Si tratta di un fabbisogno di manodopera indispensabile, all’interno di un settore complementare rispetto a quello dove risiede la maggior parte dei cittadini italiani (ovvero i servizi), di cui non possiamo farne a meno.
C’è chi potrebbe pensare che in questo modo si vogliono regolarizzare i “migranti” solo perché utili a un settore “usurante e faticoso”. La supposizione è corretta e corrisponde all’attuale composizione del mercato del lavoro italiano. D’altronde una persona che non parla correttamente la nostra lingua, non ha competenze tecniche specifiche, nessun titolo riconosciuto e senza relazioni sociali è destinato a svolgere attività manuali non qualificate, sperando che queste diventino contratti stabili e regolari. Il suo ascensore sociale (verso posizione intermedie) potrà avvenire attraverso le generazioni successive, se queste avranno accesso all’istruzione terziaria.
Il mercato del lavoro è un mercato non perfetto, il mismatch tra domanda e offerta nel settore agricolo è frutto di una pluralità di fattori, nel quale gioca un ruolo pesante il “salario di riserva” dei disoccupati. In tal senso, spaccarsi la schiena per 10 euro all’ora quando se ne guadagnano altrettanti o di più per portare a spasso un cane, difficilmente rappresenta una possibile uscita dalla disoccupazione dei giovani, ma anche degli adulti.
A ciò si aggiungono fattori legati all’affaticamento fisico che comporta patologie che poi vanno messe in conto con il passare degli anni, tanto che il reclutamento di braccianti agricoli sarà costante nel tempo: non possiamo pensare infatti che le persone regolarizzate restino nel comparto per tutta la carriera lavorativa (è lecito pensare che in media questi soggetti passeranno dalle mansioni non qualificate del settore agricolo a quelle dei servizi), si tratta di una soluzione “tampone”, temporanea e dettata dalla crisi sanitaria.
Ricapitolando, per garantire la stagione delle raccolta di frutta e verdura in Italia abbiamo la necessità di regolarizzare almeno 300 mila stranieri presenti nel nostro Paese. Se non lo faremo aspettiamoci una vera e propria carestia.