Il titolo “Next Generation”, adottato dalle istituzioni della Ue per connotare l’obiettivo primario assegnato all’impiego dei 750 miliardi di euro messi in campo per sostenere i piani di ripresa dell’economia e dell’occupazione, e la transizione ecologica e digitale, rende di per sé evidente che la valutazione del successo dei programmi di attuazione nazionali (Pnrr) debbano essere valutati principalmente per la qualità dei risultati ottenuti in termini di sostenibilità economica e ambientale nel medio e lungo periodo, e per l’intensità del ricambio generazionale generato sul versante dell’occupazione.
Questo rende estremamente complesso valutare l’impiego delle risorse destinate agli obiettivi di incremento dell’occupazione derivanti dall’attuazione della proposta di Pnrr esaminata ieri dal Consiglio dei Ministri, limitando le osservazioni alla parte delle politiche attive e dei programmi di inclusione sociale contenuti nella missione n. 5), che si propongono principalmente di potenziare gli interventi di sostegno alle persone in cerca di lavoro, di rafforzare le competenze dei lavoratori di fronte ai cambiamenti tecnologici e organizzativi delle imprese, e di migliorare le condizioni delle persone fragili o vulnerabili.
Per un’esplicita scelta operata dal Governo in carica, tutte le 6 linee strategiche di intervento elaborate dalle Amministrazioni sulla base degli indirizzi convenuti nelle sedi dell’Ue, a partire da quelli mirati a rafforzare la sostenibilità ambientale e la digitalizzazione delle attività produttive e di erogazione dei servizi, devono esplicitare le ricadute in termini ricambio generazionale, di miglioramento degli indicatori della parità di genere, e di riduzione dei divari economici e sociali territoriali. Un approccio condivisibile in via generale, ma che presenta due rischi, ampiamente confermati nelle bozze del testo che sono circolate, di una sovrapposizione degli obiettivi e degli interventi messi in campo dalle diverse amministrazioni che hanno missioni diverse ma che tendono a sconfinare nei campi altrui, con il rischio di una dispersione di risorse, e la tentazione di risolvere i problemi del ricambio generazionale e di parità di genere con l’introduzione di quote vincolanti di giovani e di donne per le assunzioni di personale a prescindere dalla concreta capacità di rimediare le cause delle discriminazioni sostanziali.
Molto dipenderà dalla qualità della governance che sarà messa in campo per coordinare le varie competenze istituzionali in coerenza con le priorità indicate nel Pnrr. Ma è del tutto evidente che il lavoro svolto, che rappresenta per molte parti un notevole salto di qualità rispetto alla precedente bozza presentata dal Governo Conte bis, richiede un’ulteriore opera di affinamento, che sarà probabilmente traguardata dopo gli esiti del confronto che sarà attivato dopo il 30 aprile, per l’approvazione del piano da parte della Commissione europea. Del resto alcuni degli interventi rimasti incerti, a partire dalla concreta possibilità di finanziare fino al 2023 le detrazioni fiscali del superbonus 110% sulle ristrutturazioni edilizie con i fondi europei, rimangono condizionati a questo passaggio.
Sullo specifico della linea strategica n. 5) destinata alle politiche di inclusione e coesione sociale, lo schema per l’impiego delle risorse, sia pur incrementate da 18,1 a 19,1 miliardi di euro, ricalca quello proposto da precedente Governo Conte, con 6,6 miliardi destinati a rafforzare i Centri per l’impiego e il programma Gol (Garanzia Occupabilità dei Lavoratori), finalizzato alla presa in carico dei disoccupati per la riqualificazione professionale e l’inserimento lavorativo, e l’ampliamento delle risorse del Fondo per le Nuove Competenze dei lavoratori occupati istituito nel corso del 2020. Interventi che prevedono una dotazione aggiuntiva di 1,65 miliardi di euro già inserita nella recente Legge di bilancio e un’ulteriore quota delle nuove risorse che saranno previste con la programmazione dei fondi ordinari dell’Ue.
Gli altri interventi vengono destinati per una parte significativa ai sostegni per l’imprenditoria femminile, alla conciliazione tra i carichi familiari con quelli lavorativi e ai progetti per favorire la parità di genere, e a una più consistente, circa 8,7 miliardi, destinata a finanziare un complesso numero di progetti per il recupero del disagio sociale, il sostegno alle persone vulnerabili e non autosufficienti con il coinvolgimento del Terzo settore.
Nella parte dedicata alle riforme, per quelle che riguardano il lavoro, in particolare la riforma dei sostegni al reddito e l’introduzione del trattamento salariale minimo obbligatorio, vengono riservate poche righe. Diversamente per le riforme della Pubblica amministrazione, le semplificazioni delle procedure amministrative, la giustizia, gli obiettivi e le caratteristiche degli interventi legislativi e operativi vengono descritti in modo puntuale e traguardati nel corso dei prossimi mesi.
La valutazione dell’impatto occupazionale delle misure previste nella missione strategica n. 5, contenuta nella tabella finale di sintesi, è estremamente generica, e ridotta all’aspirazione di aumentare a regime il tasso di occupazione, in particolare per i giovani, per le donne e per i territori svantaggiati, e di migliorare la qualità dell’incontro domanda e offerta di lavoro riducendo il differenziale tra i profili professionali richiesti dalle imprese e le disponibilità effettive esistenti nel mercato del lavoro, quantificato attualmente intorno al 30% della domanda di lavoro. Sul piano quantitativo le uniche stime generali disponibili rimangono quelle contenute nel recente Documento di economia e finanza approvato dal Consiglio dei ministri, il recupero del numero degli occupati precedenti la crisi Covid nel primo semestre del 2023, e la previsione di una crescita aggiuntiva complessiva del prodotto interno lordo del 3,6% nei prossimi 5 anni, grazie all’utilizzo delle risorse europee del Pnrr.
Nel merito, trascurando i buoni propositi, l’impianto degli interventi per le politiche attive del lavoro rimane ancorato alla logica dei progetti calati dall’alto che si propongono di rispondere alle criticità esistenti, in particolare alla carenza di sostegni e di servizi per i fabbisogni di reinserimento lavorativo, potenziando con le risorse aggiuntive le caratteristiche storiche delle nostre politiche del lavoro: l’estensione dei sostegni al reddito, l’incremento degli incentivi per le assunzioni di disoccupati, giovani, donne, anziani e territori svantaggiati, il potenziamento dei servizi pubblici dell’impiego.
Con un approccio carente di analisi adeguate delle condizioni del nostro mercato del lavoro e delle motivazioni dei fallimenti delle sperimentazioni prodotte anche negli anni recenti e che trascura l’esigenza di costruire una governance condivisa tra tutti gli attori: Stato, Regioni, Agenzia nazionale, operatori pubblici e privati per l’impiego, istituzioni formative e parti sociali, che a vario titolo sono dotati di competenze, risorse e strumenti che interagiscono nella gestione delle politiche passive e attive del lavoro.
Giova in tal senso evidenziare l’assenza di un programma finalizzato ad affrontare in modo organico l’integrazione tra i percorsi formativi e quelli lavorativi e il raccordo tra i programmi scolastici e universitari con le dinamiche culturali, relazionali, tecnologiche e organizzative del mondo del lavoro.
Questa è la vera distanza che intercorre tra un disegno autenticamente riformatore che si propone di incidere sulla modalità di utilizzo delle risorse disponibili, che si riscontra positivamente, ad esempio, nei programmi di riforma per la semplificazione delle procedure amministrative, e della giustizia ordinaria, con quelli che si limitano a evidenziare l’impiego delle risorse aggiuntive messe a disposizione. Per la parte del Pnrr destinata alle politiche del lavoro, purtroppo, questa distanza continua a rimanere rilevante.
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