L’autunno del lavoro sarà rovente, e da come sapremo affrontarlo dipende gran parte della sfida della ricostruzione. Mario Draghi lo ha detto con coraggio ed efficacia nel suo intervento al Meeting di Rimini: senza uno scatto coesivo e anticiclico, gli sforzi di questi mesi rischiano di essere vanificati. Con l’aggravante di un imponente debito pubblico destinato a compromettere soprattutto il futuro delle giovani generazioni.
La massa di risorse nazionali ed europee oggi a disposizione deve essere messa al servizio di una politica di sviluppo che proceda in due direzioni. Va confermato l’intervento emergenziale per spegnere l’incendio che sta bruciando le prospettive di milioni di lavoratori, famiglie, imprenditori. E, contemporaneamente, va sostenuto un cambiamento partecipato del nostro modello di crescita, verso una struttura produttiva e sociale più solidale, efficiente, responsabile, sostenibile e competitiva.
La chiave di questa evoluzione resta il lavoro di qualità: un lavoro da promuovere e valorizzare, da formare e trasformare, ma prima di tutto da difendere: oggi è essenziale tenere le persone ancorate alla propria occupazione; lo impone una ragione di giustizia sociale, ma anche una priorità economica. La desertificazione occupazionale infatti azzererebbe del tutto i consumi portando giù anche le imprese. Per questo la Cisl, insieme a Cgil e Uil, ha chiesto di prorogare sino a fine anno tutte le protezioni attivate in questi cinque mesi.
Diverse nostre richieste sono state recepite nel Decreto agosto; restano importanti lacune. Ad esempio, le indennità non riconosciute ad agricoli stagionali, co.co.co., lavoratori domestici e partite Iva e il “chiaroscuro” sulla disciplina dei licenziamenti, che – lasciata così – farebbe trovare centinaia di migliaia di persone scoperte già a fine novembre. Bisogna raddrizzare il tiro, integrando le categorie escluse e autorizzando le imprese all’utilizzo degli ammortizzatori ordinari per tutto il 2020.
Ma è soprattutto sul nodo degli investimenti che siamo indietro. Ed è qui che la “Dottrina Draghi” suona la sveglia più dura. Per questo chiediamo all’Esecutivo di aprire subito un confronto sulle linee strategiche di politica economica. Vanno sbloccate le infrastrutture materiali, digitali e sociali, rafforzata la politica di sviluppo delle zone deboli, assicurata una politica industriale che difenda gli asset strategici e stimoli il passaggio all’economia 4.0 anche nelle Pmi.
Occorre rispondere a milioni di giovani con più coraggiosi sgravi alle assunzioni, un nuovo apprendistato semplificato e a forte vocazione formativa, un potente sistema di politiche attive che non lasci mai nessuno senza formazione e reddito, nelle fasi di transizione accompagnandolo con interventi finalizzati a migliorare le competenze, sopratutto digitali, e le azioni di riqualificazione professionale.
La sanità pubblica va consolidata, insieme alla scuola e alla Pubblica amministrazione, con investimenti e piani assunzionali che vadano ben oltre il turnover. Indispensabile una riforma del fisco che alleggerisca redditi da pensione e lavoro, riscattare le politiche per la famiglia e il sostegno alla non autosufficienza. C’è infine da chiudere, presto e bene, la partita dei rinnovi contrattuali pubblici e privati, che attende 14 milioni di persone, e da valorizzare le relazioni industriali nelle regole sull’organizzazione del lavoro, a cominciare dallo smart working.
È su queste tematiche che oggi chiamiamo il Governo ad assumere impegni coerenti verso un nuovo Patto sociale e le Rappresentanze delle imprese a convergere in un fronte sociale riformatore che eserciti responsabilità, incida nelle dinamiche della politica economica contro facili populismi e contribuisca a una rinascita che non lasci nessuno indietro.