Due anni di governo, due anni che la ministra Calderone dirige il dicastero che decide le politiche per welfare e lavoro. Essendo ormai anziano non so come oggi vengano dati i voti nei nostri corsi scolastici. Ai miei tempi c’erano solo i voti numerici e poi eventualmente un giudizio a spiegazione con convocazione dei genitori nei casi gravi. Escludiamo subito quest’ultima casistica, il voto è una sufficienza con qualche meno. Giudizio, si impegna ma può fare di più.



Avendo anticipato subito le conclusioni cerchiamo di motivare le ragioni di tale votazione. L’avvio sui temi welfare è stato in linea con quanto promesso dalla destra in campagna elettorale. Il Reddito di cittadinanza andava rimodulato dividendo politiche contro la povertà da chi poteva uscirne attraverso il lavoro. A fianco di questa linea vi era anche la promessa di interventi di revisione delle pensioni. Non imputiamo poi a questo ministero il fatto che il welfare è ovviamente composto da molti altri servizi per i cittadini su cui però le decisioni spettano ad altri ministeri.



Allora, sulle pensioni alla fine nulla. Nè le folli promesse di chi da anni sostiene che si può tornare a prima della riforma Fornero, né i tentativi di nuovi scivoli per anticipare uscite, né un serio sostegno alle pensioni minime. C’è sicuramente la scure del debito pubblico che ha pesato, ma soprattutto un’idea di equità con cui rivedere il sistema pensionistico (stessa cosa per il sistema fiscale) vede contrapporsi nei partiti di maggioranza più linee di giudizio e nessuna capacità di fare sintesi.

La divisione del Reddito di cittadinanza con due interventi capaci di dividere i casi di povertà da situazioni socioassistenziali da quelli dovuti a mancanza di occupazione ha permesso un risparmio di risorse e di correggere alcune distorsioni della precedente formulazione, ma su due obiettivi i risultati sono scarsi. La povertà è comunque cresciuta e aggredisce anche fasce di lavoratori (lavoro povero), i servizi di presa in carico e accompagnamento al lavoro per chi era in condizioni di lavorare non hanno prodotto i risultati che erano stati indicati.



Per quanto riguarda le politiche contro la povertà si deve tornare ad avere una piena collaborazione con i servizi sociali del territorio integrando le politiche di sostegno al reddito con i servizi sociali necessari. La valutazione dei risultati sull’efficacia dei servizi è poi indispensabile per correggere lo spreco di risorse utilizzati per bonus di nessuna efficacia.

Dato che ci occupiamo di politiche per il lavoro è però la seconda parte degli interventi che qui ci preme valutare con più attenzione. I servizi di politica attiva per il lavoro dovevano trovare proprio in questi anni la loro piena realizzazione. Vi era un’agenzia destinata a coordinare gli interventi nazionali e regionali stante la divisione delle competenze esistente. Il Governo, invece di far fare passi avanti all’agenzia dandole anche le risorse che l’avrebbero resa capace di amministrare politiche passive e politiche attive e così assicurandosi la possibilità reale di coordinare i diversi livelli di intervento, ha pensato bene di chiudere l’agenzia e tornare a coordinare il tutto da una direzione generale del ministero con una società di servizi a sostegno.

Gli investimenti sono stati fatti per realizzare una piattaforma di incrocio di dati per fare matching fra offerta e domanda di lavoro. La piattaforma, usando le potenzialità dell’Intelligenza artificiale, ha una notevole capacità di incrocio fra occasioni di lavoro e competenze rilevabili dai curriculum delle persone inseriti.

Nonostante il periodo di crescita dell’occupazione, i risultati dei servizi messi in moto sono stati scarsi. Ci permettiamo, data la sinteticità dovuta allo spazio di un articolo, di dire che affidarsi alla capacità tecnica dei software, anche i più avanzati, non può supplire all’assenza di una rete di servizi sul territorio capaci di leggere la realtà di tutte le transizioni che riguardano l’esperienza lavorativa delle persone. Il risultato non è solo scarso in quantità, ma è soprattutto deludente nella qualità. Prevalgono ancora spese inutili in corsi di formazione slegati dalle esigenze delle imprese e gli inserimenti lavorativi, reale obiettivo su cui misurare i servizi al lavoro, restano scarsi.

In assenza di una nuova visione complessiva capace di immaginare un intervento generale che adeguasse ai cambiamenti intervenuti in questi anni le normative del Jobs Act, vi sono stati molti interventi correttivi di singoli problemi della normativa del lavoro. Si può dire che l’attività minuta, quella operabile con il cacciavite per regolare e fare manutenzione, non sempre al meglio, di singole questioni, è quella che ha contraddistinto di più le energie del ministero in questi due anni. Dalle regole per i contratti a termine fino alle tante misure previste dall’ultimo Ddl lavoro appena approvato si sono operati tanti piccoli cambiamenti, positivi in molti casi, discutibili in altri come per il lavoro somministrato. Nell’insieme misure pressoché amministrative da cui emerge però in modo positivo l’impegno a rafforzare il sistema dell’apprendistato, soprattutto a sostegno dei percorsi di formazione duale da quelli base fino agli Its.

Il mercato del lavoro attuale ci pone, però alcune domande che riguardano il sistema nel suo complesso. L’occupazione è cresciuta, ma non abbastanza. In più crescono lavori poveri. Ma noi, data la fase demografica e i ritardi storici, abbiamo un tasso di attività di giovani e donne troppo basso e non si riuscirà a rispondere alle esigenze del sistema produttivo né per quantità, né per qualità delle competenze richieste.

L’assenza anche solo di una seria riflessione da parte del ministero su questo tema che rischia di essere determinante per la nostra economia è quello che ci fa mettere molti meno a fianco di una sufficienza guadagnata dal non avere fatto molti danni. Almeno per ora.

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