Per fortuna di tutti l’economia segue proprie logiche di crescita e lascia che le polemiche non frenino questi primi risultati positivi dovuti all’attenuazione della pandemia. Sono anche gli effetti di alcune misure economiche e fiscali che hanno contribuito a mettere velocemente in moto alcuni settori economici. Il primo impatto su cui è possibile misurare l’efficacia del superbonus del 110% sulle ristrutturazioni energetiche dell’edilizia lo si può constatare dalla difficoltà che ci sono anche solo per trovare le piastrelle necessarie per rinnovare la pavimentazione di un balconcino,
Le strettoie che si sono create in molti mercati di materie prime e beni di produzione avranno, se non trovano modo di fare ripartire a mille l’offerta, un effetto inflativo e creeranno problemi alla crescita di molti settori economici. L’asimmetria che ha caratterizzato questa crisi segnerà anche questo periodo di ripresa. Avremo settori che potrebbero crescere subito molto che troveranno difficoltà negli approvvigionamenti. Al contrario di altri che sentiranno ancora per molto un calo della domanda mentre non avrebbero problemi a tornare alla capacità produttiva precedente.
Questa dinamica che segna andamenti alterni fra le diverse filiere produttive ha un impatto anche sul mercato del lavoro. La cosa più dannosa è la creazione di imbuti o vincoli che non permetterebbero di sfruttare appieno le spinte positive che provengono dai settori in espansione.
L’accordo raggiunto per superare il blocco generalizzato dei licenziamenti va nel senso giusto. Si doveva arrivare a lasciare le tutele per i settori in cui la crisi è ancora profonda, ma era indispensabile tornare ad avere mobilità nei settori in ripresa. La decisione di affidarsi poi al ricorso ad accordi sindacali, per usare fino in fondo la possibilità di ricorrere comunque per ancora 14 settimane alla Cig, ha riportato il ricorso alle tutele nell’ambito degli accordi aziendali.
È questo l’ambito dov’è possibile sviluppare accordi legati alla ripresa che tengano conto della necessità di formazione, per favorire le innovazioni produttive, e della necessità di aumentare la produttività di tutti i fattori.
Il caso dell’azienda di Ceriano Laghetto che 48 ore dopo l’accordo nazionale ha lasciato a casa tutti i lavoratori pare essere un brutto esempio, ma sembra rimanere un caso isolato. È in ogni caso un fatto da non far passare sotto silenzio. È bene che si usino tutti gli strumenti possibili perché il fondo proprietario dell’azienda riveda la sua scelta. Altrimenti si pensi a interventi perché la speculazione finanziaria sulle imprese produttive venga penalizzata. Fare finta che dopo una crisi da salute come quella vissuta i pescecani non abbiano freni è un insulto alla necessità di nuova coesione sociale che deve essere base per nuovi modelli di relazioni sociali e lavorative. Non può essere usata per definire inutile o addirittura dannoso l’accordo nazionale raggiunto. Gli ex leader sindacali che vogliono tornare a fare lezioni di estremismo farebbero bene a mettere al centro delle loro riflessioni la necessità di creare più lavoro e combattere quella mentalità che frena la scelta del lavoro per preferire la passività del posto o del reddito garantito.
La ripresa della domanda di lavoro appare evidente. In questi giorni Veneto Lavoro informa che a giugno si sono operate più assunzioni del giugno 2019. Significa che se tutti i settori fossero in ripresa avremmo un vero e proprio boom nella domanda di lavoro. Certo i contratti non sono ancora quelli che tutti auspichiamo. Quasi tutte le assunzioni sono con contratti a termine. Da un lato, vorremmo tutti che fossero già contratti a tempo indeterminato, ma nessuno è già oggi in grado di prevedere la situazione sanitaria che avremo in autunno. L’aver contenuto le ospedalizzazioni grazie ai vaccini non basta per avere la certezza che non vi saranno ulteriori limitazioni dovute alle nuove varianti.
Proprio per questo la decisione del Governo di togliere i vincoli ai contratti a termine, introdotti dalla farneticante ideologia che stava nel cosiddetto Decreto dignità, e la restituzione delle causali alla decisione dei contratti collettivi è una buona notizia. Anche in questo caso la scelta torna a restituire un ruolo fondamentale alle forze sociali. Torna ad avere importanza la responsabilità delle rappresentanze restituendo la scelta dei tempi determinati alla conoscenza delle esigenze aziendali e alla decisione di tutte le sue componenti.
Resta comunque la necessità che si acceleri con la creazione di più posti di lavoro. Un sistema di politiche attive ha la gamba della formazione per dare occupabilità a tutti assieme a un sistema di sostegni al reddito che permetta di affrontare i periodi di transizione senza drammi economici. Questo sistema non c’è e pesa maggiormente date le caratteristiche di questa ripresa del mercato del lavoro con stop and go e forti differenze fra settori produttivi.
Di fronte ad alcune disponibilità di posti di lavoro si assiste a un’assenza di giovani disponibili a intraprendere nuove responsabilità. Vi è certamente una questione salariale che si sta palesando e che diventerà centrale con la piena ripresa dell’economia. La presa ideologica di una vita sussidiata è però presente. In quelle zone dove economia informale e sussidi a pioggia formano una base sociale significativa, dove più del 60% della popolazione in età lavorativa si mantiene grazie alla spesa pubblica abbiamo bisogno di una spinta che veda assieme all’uso degli strumenti economici quello degli strumenti culturali che riportino al centro la cultura del lavoro come disponibilità all’impegno, al rischio ma anche alla ricerca della migliore risposta al desiderio di incidere nella realtà.
L’investimento per un grande piano di formazione e la creazione di nuovi hub lavorativi per specializzazioni legate alla digitalizzazione e alla sostenibilità possono essere il perno per la rinascita di zone oggi fuori dai flussi di crescita economica. La stessa sfida per una crescita dei redditi da lavoro avrebbe basi più solide per affermarsi già nei prossimi mesi.
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