Il recupero dei numeri occupazionali precedenti la pandemia è relativamente rapido e superiore alle aspettative. Ma l’orizzonte è costellato di nubi minacciose che fanno presagire qualcosa di peggio del rallentamento della crescita occupazionale registrato nel mese di luglio u.s.. Le recenti stime fornite dal Centro studi della Confindustria sull’impatto della crisi energetica per la parte finale dell’anno e del 2023 delineano una perdita del 2,2% del Pil e di 383 mila posti di lavoro nel caso di una stabilizzazione dei costi dell’energia registrati nel mese di agosto u.s. (circa il triplo rispetto al 2021) e del 3,2% di Pil e di-582 mila occupati nel caso di un ritorno dei prezzi relativi sulla punta massima dei prezzi registrata nel corso degli ultimi mesi (298 euro MWh).
La combinazione di tre fattori – l’aumento dei costi della produzione, la riduzione del potere di acquisto dei salari e dei tassi di interesse – rende assai probabile l’innesto di una recessione che viene data quasi per scontata nelle previsioni dei principali centri di rilevazione internazionali. Particolarmente intensa per il nostro Paese per il grado di esposizione sul versante delle importazioni del gas e dell’impatto negativo atteso sui comparti di attività, in particolare il manifatturiero, il turismo e la ristorazione, che hanno svolto un ruolo trainante per la crescita dell’occupazione nel corso degli ultimi 12 mesi.
Rispetto alla gravità della situazione, l’attenzione dedicata alle problematiche della produzione e del lavoro nel corso della campagna elettorale lascia a desiderare. L’aspetto più irritante è rappresentato dall’incredibile leggerezza delle promesse elettorali di allargare la spesa pubblica per ridurre le tasse, aumentare salari e pensioni ed elargire nuovi bonus di fronte alla palese evidenza di dover trovare risorse per dare continuità al complesso degli aiuti messi in campo dal Governo Draghi (60 miliardi) per contenere l’impatto dei costi dell’energia sulla produzione e sui redditi delle famiglie. Utilizzando per tale scopo l’extragettito fiscale assicurato dalla ripresa dell’economia che verrà a mancare nel caso di una recessione economica.
Ma il reset delle promesse fantasiose, che comporterà comunque problemi nella fase di formazione della Legge di bilancio che dovrà essere approvata in meno di due mesi per evitare l’esercizio provvisorio, non basterà per affrontare il nuovo scenario. E nemmeno la probabile richiesta di poter aumentare il deficit per far fronte alle esigenze per finanziare la continuità degli interventi messi in campo riproponendo lo schema utilizzato per tamponare gli effetti delle fermate produttive nel corso della pandemia Covid. Diventa necessario trovare risorse per finanziare la rivalutazione delle pensioni e del rinnovo dei contratti della Pubblica amministrazione, la continuità degli sgravi contributivi sui salari per l’intero 2023 (cuneo e sgravi aggiuntivi per il Mezzogiorno), l’integrazione delle risorse del Pnrr per far fronte all’incremento dei prezzi per le opere infrastrutturali già assegnate o in fase di assegnazione. Le stime sinora effettuate negli ambienti del Mef parlano di un fabbisogno che oscilla tra i 30 e i 40 miliardi di euro.
La prima tentazione sarà quella di forzare le maglie per un utilizzo diverso delle risorse del Pnrr. In parte giustificato dall’esigenza di ridurre il numero dei progetti finanziabili in relazione all’incremento dei prezzi dei singoli interventi. In tal senso potrebbero paradossalmente aiutare le difficoltà delle amministrazioni nel procedere a rendere esecutivi le opere e i programmi, che emergerà con tutta evidenza nel corso del prossimo anno, quando gli obiettivi da raggiungere, per ottenere l’erogazione delle nuove tranche delle risorse del Pnrr da parte dell’Ue dovranno fare i conti con l’attuazione concreta delle opere e dei provvedimenti.
Molto più complicato utilizzare parte delle stesse per far fronte all’aumento dei costi della transizione energetica. Il tema non è un tabù, dato che la strategia messa in campo dalle Istituzioni europee per fronteggiare la riduzione delle forniture dalla Russia dovrebbe ragionevolmente prevedere misure di compensazione per i Paesi più esposti alle conseguenze fisiche e monetarie di queste scelte.
Questo obiettivo dipenderà anche dalla qualità delle relazioni con le istituzioni dell’Ue e con i Paesi aderenti che saranno attivate dal nuovo Governo, determinante per la sostenibilità delle politiche di bilancio e dei programmi di aiuto alle attività produttive e per le famiglie dei prossimi anni.
Diversamente dal virus, le tensioni geopolitiche hanno messo in moto un mutamento delle ragioni di scambio che comportano una riorganizzazione selettiva delle filiere produttive in ambito internazionale: la necessità di concentrare gli sforzi e le risorse su alcune priorità (riduzione dei costi dell’energia per unità di prodotto, salvaguardia degli asset produttivi fondamentali, risparmio energetico, riciclo) che per loro natura richiedono un’ampia condivisione e il concorso di una molteplicità di attori per ottenere risultati; un aumento dei volumi e dei costi degli investimenti che erano originariamente stimati per favorire la transizione eco sostenibile e digitale; la capacità di sincronizzare le politiche di interesse pubblico con una maggiore attrazione delle risorse private; massicci investimenti sulle risorse umane per la finalità di aumentare l’occupabilità delle persone e il tasso di occupazione.
Allo stato attuale l’orientamento delle forze politiche rimane attestato sull’esistenza di proseguire gli interventi rivolti a contenere i costi di approvvigionamento dell’energia, con il contributo di un price cap europeo per il prezzo del gas, e di diversificare le fonti di approvvigionamento anche a costi più elevati rispetto a quelli di mercato. Distante dall’esigenza di coinvolgere gli attori produttivi nelle politiche di innovazione tecnologica e di risparmio energetico. Sovrastrutturale per la parte delle politiche del lavoro, che rimangono ancorate sull’intenzione di rimediare alla bassa crescita della produttività e dei salari con provvedimenti dirigistici (il salario minimo legale) o di trasferire sullo stato gli oneri di finanziamento delle pensioni (riduzione del cuneo contributivo) promettendo nel frattempo di anticipare l’età pensionabile e di aumentare gli importi minimi delle rendite.
Le politiche attive del lavoro, nonostante il programma Gol del Pnrr, continuano a rimanere distanti dall’esigenza di favorire una mobilità del lavoro sostenibile per i disoccupati e di ridurre la quota dei fabbisogni professionali delle imprese che non trovano personale per il 40% dei profili richiesti. Fondate sul potenziamento dei servizi pubblici per l’impiego, lontano dall’essere realizzato per la gran parte delle regioni, per realizzare obiettivi generici e distanti dalla concreta evoluzione del mercato del lavoro.
La parte più evoluta del sistema produttivo, le medie e grandi aziende dei comparti manifatturiero e dei servizi, hanno messo in campo dei modelli di cooperazione permanente con le istituzioni formative e i circuiti privati dell’intermediazione della domanda e offerta di lavoro per rimediare le lacune relative al reperimento del personale. Ma restano scoperte ampie aree economiche caratterizzate dalla prevalenza da microaziende, la componente del lavoro autonomo (la sola che registra una riduzione di circa 300 mila occupati rispetto al periodo pre-pandemia), i territori del Mezzogiorno. È ragionevole ritenere che nei prossimi mesi aumenteranno le erogazioni di sussidi al reddito per le casse integrazioni, le indennità di disoccupazione e per il Reddito di cittadinanza. Non esattamente la condizione ideale per recuperare i ritardi nelle politiche attive del lavoro.
A questo proposito una riflessione specifica va dedicata al valore che può assumere il rapporto tra il nuovo Governo e le Parti sociali. Con l’esecutivo guidato da Mario Draghi è stata persa l’occasione di marcare un ruolo condiviso delle rappresentanze del lavoro sulle scelte di natura fiscale, contrattuale e per il mercato del lavoro. La rinuncia a esercitare il proprio ruolo in modo autonomo, pragmatico e partecipativo è stata compensata con un aumento delle rivendicazioni per ottenere sostegni e prestazioni da parte dello Stato.
Nel medio periodo la possibilità di assicurare una ripresa dell’economia in grado di assorbire in modo strutturale l’impatto l’incremento dei costi di produzione sui salari e sull’occupazione dipende dell’aumento della produttività derivante dalle innovazioni tecnologiche e organizzative e dalla capacità di rigenerare in termini quantitativi e qualitativi la popolazione attiva.
Contrariamente a quanto propagandato dalla vulgata corrente, l’attuale sistema fiscale e contrattuale risulta tutto proteso alla difesa dei salari e dei redditi bassi e poco incentivante per la crescita del reddito prodotto e da redistribuire, che rimane la condizione essenziale per migliorare la quantità e la qualità del lavoro. Nelle comparazioni internazionali l’Italia primeggia per il grado di estensione delle tutele contrattuali, per la bassa differenziazione salariale tra settori, qualifiche, età e territori. E nel contempo anche per la stagnazione dei salari nel corso degli anni 2000. Lo schema può essere interrotto ancorando la crescita di una parte significativa dei salari alla produttività.
La difficoltà di reperimento dei profili professionali da parte delle imprese è l’indicatore del degrado del nostro mercato del lavoro. Destinato ad aumentare anche nel breve e nel medio periodo per la riduzione per motivi demografici della popolazione in età di lavoro e a convivere con livelli elevati di beneficiari sostegni al reddito, disoccupati e persone inattive in assenza di meccanismi incentivanti e di servizi diffusi di orientamento e di riqualificazione. Anche su questo versante le rappresentanze delle imprese e dei lavoratori possono concorrere in modo attivo alla riduzione delle contraddizioni richiamate.
La gravità dei problemi è destinata a imporre cambiamenti significativi per le forze politiche e sociali a partire dall’esigenza di ricostruire gli ambiti di convergenza e di condivisione interna imposti dalla natura dei cambiamenti che stanno avvenendo in ambito internazionale.
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