Nelle scorse settimane l’Europa si è dotata di un nuovo strumento comunitario di sostegno temporaneo per attenuare i rischi di disoccupazione in un’emergenza (in breve chiamato Sure) pensato per aiutare a proteggere i posti di lavoro e i lavoratori che risentono della pandemia di coronavirus. Il fondo dovrà servire a fornire assistenza finanziaria per un totale di 100 miliardi di euro sotto forma di prestiti, concessi dall’Unione agli Stati membri a condizioni favorevoli.



I prestiti dovranno aiutare i Paesi ad affrontare aumenti repentini della spesa pubblica per il mantenimento dell’occupazione. Nello specifico queste risorse concorreranno a coprire i costi direttamente connessi all’istituzione o all’estensione di regimi nazionali di riduzione dell’orario lavorativo, come la cassa integrazione, e di altre misure analoghe per i lavoratori autonomi introdotte in risposta all’attuale pandemia di coronavirus.



In questo quadro complessivo all’Italia arriveranno ben 27,4 miliardi. Il ministro pentastellato del Lavoro Catalfo sta quindi preparando, in questa prospettiva, un piano che il Governo presenterà a Bruxelles.

Uno dei capitoli principali dell’iniziativa governativa riguarderà, certamente, le politiche attive e la formazione con l’ambizioso obiettivo di “traghettare” le transizioni occupazionali. Spendere (o forse sarebbe meglio dire investire), insomma, per aiutare chi perderà il lavoro nei settori maggiormente colpiti dalle conseguenze della pandemia a trovare un nuovo posto di lavoro puntando, in particolare, sul digitale e sull’economia green.



La base di partenza per questa nuova fase sarà il “Fondo nuove competenze” già previsto dal decreto Rilancio e potenziato col decreto Agosto.

Per ora sono a disposizione solamente (?) 730 milioni per il biennio 2020-21 messi in campo per finanziare, con accordi tra le parti, la destinazione di una quota di orario di lavoro alla formazione, in un’ottica di ricollocamento, senza però una corrispettiva riduzione della retribuzione per i lavoratori.

Parallelamente si lavorerà per una riforma (organica?) degli ammortizzatori sociali fondata su due pilastri: uno di protezione temporanea per i lavoratori di aziende con prospettive di ripartenza e uno per chi è destinato invece a perdere il lavoro. Come già previsto dalla normativa vigente, l’accesso a queste misure sarà condizionato alla partecipazione ad attività formative, di orientamento e aggiornamento professionale che dovranno, in ogni caso, essere potenziate rispetto al quadro attuale.

Le risorse (in particolare quelle europee) sembrano esserci. Da capire già nelle prossime settimane se, oltre a questo livello “politico” generale ampiamente condivisibile, ci siano anche idee e progetti concreti, iniziando magari da “buone pratiche” dei territori, da far partire il prima possibile.