C’è bisogno di un Governo che operi con velocità scelte politiche. La partecipazione di partiti che, pur essendo in maggioranza, preferiscono il mugugno alle scelte politiche, fa correre gravi rischi alla fase di ripresa. La spinta alla crescita dell’economia deve trovare nel coordinamento fra riforme e capacità di spesa delle risorse del Recovery plan lo sforzo di tutte le forze politiche e sociali che intendono contribuire a superare la fase della pandemia.



La scelta di come operare nella politica industriale nella politica del lavoro non hanno ancora trovato proposte convincenti. Si vive una lunga fase di surplace. In una prima fase, il blocco dei licenziamenti abbinato al ricorso generalizzato alla Cig ha fatto da tappo alla necessità di intervenire con riforme del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali. L’accordo fra Governo e rappresentanze sociali ha rimesso in moto le forze di mercato e molte magagne, rimaste nascoste nei mesi precedenti, sono venute al pettine.



Già il giorno successivo all’accordo, uno stabilimento con 400 occupati veniva chiuso. I lavoratori informati con una mail. Il fondo proprietario del sito produttivo aveva deciso di spostare la produzione in un altro Paese. In pochi giorni altri casi simili sono avvenuti in diverse zone dell’Italia. A questi fatti la risposta è stata “il posto di lavoro non si tocca”. La difesa del sito produttivo si è sommata a dichiarazioni politiche tese a individuare possibili sanzioni contro la finanza che uccide i posti di lavoro senza nessuna responsabilità e rimorso verso le persone.



Negli stessi giorni, talvolta come nel caso del territorio del bresciano negli stessi ambiti territoriali, a fianco delle chiusure di stabilimenti vi sono imprenditori che lamentano di non trovare lavoratori per coprire la forte ripresa della domanda di beni sia nazionale che per esportazione. Il deficit di manodopera per i settori manifatturieri e delle costruzioni non è giustificabile con l’effetto spiazzamento operato dal reddito di cittadinanza. C’è una questione salariale complessiva che pesa sul sistema Paese. La soluzione passa da una riforma che tagli il peso fiscale sul costo del lavoro e, soprattutto, da una forte ripresa della produttività del sistema economico e del lavoro.

La difficoltà principale viene dal profondo mismatching esistente fra domanda e offerta di lavoro. Per molte professioni non vi sono canali professionalizzanti e il rapporto scuola-lavoro (alternanza e sistema duale) è rimasto arretrato rispetto ai cambiamenti della struttura produttiva.

Se mettiamo a fuoco le problematiche che emergono da questi segnali che provengono dal mercato possiamo dire che non dovrebbe essere difficile individuare i percorsi riformatori che sono necessari per affrontare le strozzature che si presentano. La situazione delle imprese e quella dei lavoratori presentano grandi tratti comuni. Richiedono interventi che vanno nello stesso senso e potrebbero trovare in un patto generale per il lavoro e lo sviluppo la base per un reale accordo fra tutte le forze sociali.

Da un lato, abbiamo settori industriali investiti da profonde trasformazioni. Il caso più evidente è quello relativo alla filiera automotive. Le scelte per l’elettrico stanno già influenzando tutte le industrie del settore. Meno componenti per automezzo e tecnologie diverse. Le industrie sono chiamate a profonde trasformazioni, nuova ricerca e nuovi investimenti. Ciò che succede nell’automotive interesserà anche altri settori. Nella transizione molti stabilimenti diventano inutili e devono ristrutturarsi per tornare produttivi.

I lavoratori coinvolti devono a loro volta mantenere la propria occupabilità. Ossia formarsi rispetto alle nuove competenze richieste per poter partecipare alla fase di passaggio nel settore produttivo di provenienza oppure per passare ad altro settore lavorativo.

L’attenzione delle forze politiche e sociali dovrebbe perciò essere concentrata su questi due temi. Se si vogliono salvare e aumentare i posti di lavoro disponibili (obiettivo prioritario per un Paese che ha un tasso di occupazione troppo basso) occorre una forte politica di sviluppo industriale. Per rimanere all’esempio dell’automotive, sostenere la ricerca e lo sviluppo delle nuove tecnologie necessarie per assicurare la transizione alla mobilità elettrica è indispensabile per difendere molti primati che la nostra industria vanta in questo settore. L’azione congiunta della sostenibilità ambientale (economia circolare) e della digitalizzazione porteranno profondi cambiamenti in tutti i settori produttivi. Determineranno nuovi prodotti, nuovi servizi e anche nuovi lavori.

La difesa del lavoro passa anch’essa dalla capacità di stare dentro la trasformazione produttiva. La formazione continua, il formarsi per nuove professionalità, lo sviluppo delle skills professionali come delle soft skills richieste per molte nuove attività, e anche per attività tradizionali ma che sono state ripensate, sono i percorsi che difendono l’occupabilità delle persone.

Politica industriale e politiche attive del lavoro sono i due pilastri intorno a cui costruire un nuovo patto sociale che abbia come scopo una nuova fase di crescita del lavoro e delle imprese italiane. La presenza di un Governo che vede coinvolte quasi tutte le rappresentanze parlamentari dovrebbe essere di aiuto per dare a questo disegno grandi ambizioni. Le principali forze politiche tendono invece a fare discorsi identitari frutto di ideologie superate dai fatti e dal tempo. Anche le forze sociali tendono a voler rimarcare le differenze invece di cercare convergenze sulle riforme capaci di sostenere lo sviluppo delle forze produttive.

Eppure basterebbe poco. Pensiamo alla riforma delle politiche attive e degli ammortizzatori sociali. Se si parte dai sostegni al reddito legati al posto di lavoro, si parla dell’economia del secolo scorso. Se si decide di partire dalle politiche di orientamento e formazione per sostenere le transizioni delle diverse fasi lavorative, e si danno sostegni al reddito a questi passaggi, si sta delineando la tutela del lavoro come sarà sempre di più nel nostro futuro.

Lavoro e impresa possono crescere in un patto di sviluppo, ma il tempo stringe per compiere le scelte che servono.

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