Il tema del lavoro dovrebbe essere al centro di qualsiasi riflessione politica oggi, essendo il primo motore di sviluppo. Economico: ridistribuire la ricchezza è impossibile se non se ne crea di nuova; sociale: riattivare la scala sociale è un modo efficace per lottare contro la povertà; culturale: senza stabilità lavorativa è difficile ampliare i propri orizzonti, come autori o come fruitori di cultura. L’uomo come “animal laborans” (carattere in cui Marx individuò il tratto specifico della specie umana, contrapponendolo alla definizione tradizionale di “animal rationale”: un essere il cui segno distintivo non sarebbe innanzitutto la capacità di pensiero, ma il fatto di produrre i propri mezzi di sussistenza) dovrebbe ritrovare spazio nel dibattito odierno, soprattutto in un frangente storico molto delicato quale quello attuale, che vede, per un verso, l’approssimarsi dell’uscita da una crisi sanitaria ed economica epocale, per altro verso la sensazione di ritrovarsi quasi sempre daccapo, in mezzo al guado fra continue nuove ondate di contagi.



Per fare ciò sarebbe indispensabile poter contare su relazioni industriali di qualità; il condizionale è quasi d’obbligo, perché l’attuale sistema vede, per così dire, una costante ripresentazione di schemi mentali da anni ’50 del secolo scorso, senza, tuttavia, le condizioni ideali e materiali dell’epoca. In certe realtà sindacali, prevale costantemente la logica della contrapposizione, assoluta o relativa a seconda della matrice culturale, ma comunque sempre un deciso “no” di fondo, spesso accompagnato dai fastidiosi amarcord dei tempi della “concertazione”, cui segue, a volte, una disponibilità a trattare, come gentile concessione da parte di un non meglio precisato mondo del lavoro, visto che gran parte (forse la maggiore) degli iscritti a sindacati sono pensionati, con problemi molto diversi da quelli dei lavoratori.



Diversamente, non si comprenderebbe la decisione dei segretari generali di Cgil e Uil di proclamare lo sciopero generale, scegliendo lo scontro senza una ragione davvero valida (a onor del vero la Cisl si è sfilata giudicando sbagliato radicalizzare il conflitto): sulle pensioni – da decenni mantra sindacale – è previsto un tavolo negoziale; sulle situazioni di precarietà e sugli ammortizzatori sociali sono state stanziate risorse, oltre all’impegno a una revisione organica; sulla riforma fiscale lo Stato ha progettato una riduzione delle aliquote, Irpef e Irap, per venire incontro alle esigenze di lavoratori e imprese, soprattutto appartenenti al ceto medio, che è quello esposto a maggior rischio di povertà se non si interviene a rimodulare il prelievo, come mostra chiaramente l’esito dell’indagine conoscitiva condotta dalla commissione Finanze del Parlamento; il conflitto, peraltro, capita in un momento politico decisamente delicato, che vede alle porte l’elezione del presidente della Repubblica.



Bisognerebbe concentrarsi sullo stato “liquido” del lavoro contemporaneo, riferibile alla scarsità di contratti stabili, o alla difficoltà di attivarne, alla presenza di significativi settori non negoziati (basti pensare alla gig economy) e alla fisionomia che assumerà il lavoro in un futuro non molto lontano: tanti lavori oggi esistenti saranno sostituiti da meccanismi di intelligenza artificiale, cosicché un’ampia quota di professioni di domani sono oggi ancora da inventare, sia a livello effettivo che formativo. Per effetto delle nuove tecnologie, muta anche la mentalità sottostante al modo di lavorare: lo smart working – su cui in questi giorni si è raggiunta un intesa regolamentare anche nel privato tra le parti sociali – all’inizio della pandemia è stato salutato come una sorta di alba rivoluzionaria; poi ridimensionato, credo soprattutto per ragioni economiche legate allo svuotamento di interi centri urbani, non è comunque superabile come una semplice parentesi necessaria, dettata da una situazione emergenziale. Contrariamente ai timori di un anno fa, dove si agitava lo spettro di una disoccupazione planetaria a causa dei vari lockdown, oggi, nel mondo anglosassone, mancano lavoratori, pur in presenza di offerta: imprese, negozi, logistica, fornitori di servizi digitali non riescono a reperire personale.

Negli Stati Uniti attualmente sembrano esistere più posti di lavoro che disoccupati: nel corso dell’anno si è assistito a un elevato numero di dimissioni nel settore privato: è il fenomeno della “great resignation”, dovuto anche alla presenza di sussidi erogati dallo Stato per sostenere l’economia, ma non è certamente l’unica spiegazione. Da un lato, può essere già diffusa la carenza di profili adeguati, perché non ancora presenti sul mercato, visto l’alto tasso di digitalizzazione delle attività che si è affermato negli ultimi due anni; dall’altro, c’è il problema di salari modesti a fronte delle condizioni di lavoro soprattutto per le occupazioni a più basso tasso di professionalità, in un momento in cui il principio generale “meglio qualsiasi lavoro che nessun lavoro” può essere sospeso grazie a politiche fiscali ancora generose sul versante dei sussidi pubblici.

A ciò si è aggiunto l’effetto della pandemia sull’attenzione al tema della conciliazione tra vita e lavoro: più tempo trascorso in famiglia (nel bene e nel male), più tempo per documentarsi e riflettere (sempre nel bene e nel male), più paura di spostarsi per non essere contagiati: tutti fattori che possono contribuire a ritardare l’ingresso o il rientro nel mondo del lavoro.

Per affrontare questi problemi sarebbe indispensabile poter contare su relazioni industriali provenienti dal basso, dai lavoratori, o che per lo meno cerchino di approcciarne i timori e le attese. Non va dimenticato che in molti settori, ad esempio la produzione di beni intermedi per l’industria automobilistica, sono partite campagne di licenziamenti, notificati a distanza con quelle tecnologie che, ironia della sorte, dovrebbero favorire il matching tra domanda e offerta e, immediatamente, da soli o con famiglia, ci si trova abbandonati: più che di scioperi generali, abbiamo bisogno di sederci a un tavolo e confrontarci, sia pure con toni accesi: qualche buona idea ci verrà in mente senz’altro.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI