Gli effetti della pandemia hanno colpito in modo rilevante il mercato del lavoro. Gli stop and go imposti dalle ondate create dalle nuove varianti del virus non hanno ancora permesso di prevedere un percorso di ripresa lineare. Restano evidenti gli effetti creati da una crisi che ha colpito le professioni con un andamento asimmetrico fra i diversi settori produttivi.
La ripresa occupazionale che sta interessando tutti i Paesi europei mostra perciò caratteristiche inedite. Vi sono aziende che fanno fatica a trovare addetti con le competenze richieste e molti lavoratori sono ancora a casa con il supporto di sussidi al reddito perché impiegati in settori che non possono ancora ripartire a pieno regime.
La necessità di affrontare anche i cambiamenti indotti dalla digitalizzazione e dalle regole della sostenibilità ambientale rendono indispensabile una rete di servizi al lavoro che assicurino politiche attive di reinserimento lavorative e piani straordinari di formazione per dare a tutti i lavoratori l’opportunità di aumentare la propria occupabilità con percorsi di upskilling o reskilling.
Le indicazioni europee per dare al lavoro piena dignità e per combattere il rischio di situazioni di working poors portano molti Paesi a dover rivedere una legislazione del lavoro che negli ultimi anni aveva portato a scelte liberiste penalizzanti per i lavoratori. Fattori di iniquità e instabilità nel mercato del lavoro chiedono di essere affrontati mentre si impostano i piani di investimento lanciati a livello europeo. Fissati gli impegni di carattere generale tocca a ogni Paese vedere come intervenire stante legislazioni diverse e squilibri nella dotazione di servizi al lavoro che caratterizzano le diverse realtà.
A fine 2021 è stato il Governo spagnolo a presentare una riforma complessiva che si propone di rilanciare la centralità del lavoro e delle tutele per i lavoratori. Fondamentale nello schema di riforma è il richiamo al contratto a tempo indeterminato come forma principale dei rapporti di lavoro. Con questo si fissano nuove norme per i contratti a termine che sono permessi solo per sostituzioni di personale e per esigenze produttive. Norme specifiche regolano poi l’attuazione di tale previsione per settori specifici (agricoltura, turismo, collaborazioni domestiche, ecc.). Oltre a questi interventi generali ve ne sono anche puntuali che regolano meglio contratti come quelli di formazione o a brevissimo termine. Con nuovi moduli di costo per versamenti previdenziali si cerca di rendere oneroso il ricorso allo spezzettamento degli incarichi lavorativi che veniva utilizzato per applicare tagli salariali. Altro passaggio essenziale della riforma è la centralità assegnata ai contratti collettivi di settore rispetto a quelli di impresa e aziendali.
È l’azione congiunta di questi due interventi che si ritiene possa portare a ridurre la crescente precarietà e la svalutazione salariale che ha caratterizzato il mercato del lavoro spagnolo negli ultimi anni. La situazione spagnola è infatti caratterizzata da quasi il 27% dei lavoratori impiegati con contratti a tempo determinato (in Italia sono circa il 17%). I disoccupati sono circa il 15% e superano il 25% fra i giovani sotto i 25 anni. La nuova legislazione punta ad assegnare un nuovo ruolo di tutela dei lavoratori all’azione contrattuale svolta dal sindacato a livello centrale per ogni settore produttivo. Era nel combinato disposto dato dalla normativa a favore delle tante forme di contratto a termine e dalla prevalenza dei contratti aziendali nel fissare i minimi salariali che si ritiene derivasse la forte caduta dei salari e il diffondersi di molti lavori che non assicuravano un salario in grado di assicurare una vita dignitosa ai nuclei famigliari.
La nuova legislazione è stata alla fine condivisa sia dalle principali centrali sindacali di Spagna che dall’associazione di rappresentanza delle imprese. La ragione per cui anche la maggioranza degli imprenditori ha scelto di appoggiare la svolta legislativa è stata la constatazione che fra i tanti effetti dannosi dell’agire del liberismo sul mercato del lavoro spagnolo stava emergendo l’impoverimento del capitale umano. L’eccesso di instabilità nella continuità delle professioni e la compressione salariale hanno portato ad avere impoverito la risorsa lavoro. Se oggi si vuole invece avere un pieno contributo del fattore lavoro per una forte ripresa dello sviluppo economico è indispensabile avere più equità fra i redditi con un recupero della quota dei salari e insieme un aumento delle conoscenze professionali a tutti i livelli delle forze lavorative.
Fatte le debite differenze che caratterizzano ogni Paese e che rendono poco confrontabili i singoli provvedimenti appare però chiaro che la centralità della dignità del lavoro è un punto nevralgico delle politiche di sostegno dei piani di crescita e sviluppo lanciati dal programma europeo Next Generation Eu. Non si tratta di affermare per legge regole che blocchino il mercato del lavoro, ma assicurare norme che sviluppino una contrattazione che abbia al centro la crescita dei fattori produttivi restituendo centralità ala lavoro come punto fondamentale della costruzione dei percorsi di vita delle persone.
È in questo quadro che la discussione sul salario minimo e sul nuovo sistema di sicurezza sociale, proposti a livello europeo non diventa fonte di conflitto, ma può essere la tappa per il rilancio di una società inclusiva e collaborativa intorno a obiettivi di crescita del benessere collettivo.
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