Ricordo che nel 2015, fresco di Dottorato di ricerca, avevo pubblicato un contributo dedicato alle politiche del lavoro in Regione Lombardia. Nel contributo presentavo una comparazione internazionale tra il modello di Dote Unica del lavoro con il modello IRO olandese, considerato un modello di riferimento. Nello stesso anno, un gruppo di consulenti tecnici e dirigenti della Regione andarono in vista in Olanda proprio per conoscere questo modello e al loro ritorno scoprii mio malgrado che tale modello, a mio avviso nettamente più efficiente di quanto “oggi” presente in Italia, era diventato “obsoleto”. Infatti, l’intero sistema delle politiche attive dei Paesi Bassi era stato rivoluzionato, passando da un processo di delega ai privati a uno completamente digitale, relegando gli interventi in presenza a casi “sporadici”.



Nel 2018 ho avuto la fortuna di visitare Londra, tappa obbligata per il sottoscritto è stata quella di vedere un Jobcentreplus, ovvero gli sportelli One Stop Shop presenti nel Regno Unito (un ufficio che mette insieme Camera di commercio, Servizi sociali, Cpi e Inps). Anche in questo caso, analogamente a quanto avvenuto in Olanda, i servizi in presenza sono quasi scomparsi. Il sistema online non si limita agli adempimenti amministrativi, ma digitali sono anche i servizi di orientamento, formazione e naturalmente intermediazione. Un modello confermato anche da un amico che lavorava nella supply chain del Work Programme, segnalandomi come l’attività in presenza degli uffici fosse ormai focalizzata per necessità di carattere socio-assistenziale.



I servizi pubblici per l’impiego in Italia, a causa della pandemia, hanno conosciuto ed esplorato alcuni servizi digitali, ma siamo ancora in una fase “embrionale” e se confrontato con gli altri Paesi il processo non è neppure partito, l’aver digitalizzato alcuni adempimenti amministrativi appare a molti come un miracolo. 

Perché la rivoluzione digitale nei Centri per l’impiego e nelle politiche attive del lavoro riscontra grandissime difficoltà? Il sottoscritto, quarantenne, nonostante ormai da un paio di anni stia studiamo la tematica, si ritiene al massimo in grado di “seguire l’onda”, non è un “nativo digitale” e molto probabilmente più passeranno gli anni e più faticherà a seguire la tematica, perché sempre di più i servizi al lavoro convertiti nell’ambito digitale raggiungeranno livelli di competenza sempre più complessi, ma fondamentali per il loro funzionamento (Strumenti per l’impostazione delle campagne SEM; Tool per la valutazione SEO; Criteri di definizione di canali, mezzi, target e KPI; Processo di determinazione delle keyword; Conoscenza di programmi utilizzati per l’estrazione di indirizzi e-mail direttamente dal Web; ecc.). Mi chiedo: se nonostante la mia esperienza, faccio oggettivamente fatica a comprendere appieno questi processi, le generazioni più anziane che oggi ricoprono anche ruoli rilevanti sia politicamente che nelle tecnostrutture, cosa sanno? 



Il digital divide nella tecnostruttura non è un problema, dato che non spetta al funzionario avviare la rivoluzione digitale, ma attuarla e se non è grado prima o poi verrà sostituito; mentre l’analfabetizzazione digitale della politica è un problema serio, perché ne inibisce l’indirizzo. Potrebbe anche succedere che leggendo questo contributo, qualche politico preso dall’entusiasmo dichiari: facciamo la rivoluzione! Purtroppo è una proposta “morta” sul nascere. Questo nuovo processo va conosciuto e interpretato per fornire un indirizzo chiaro alla tecnostruttura, servono under 30 nativi digitali, esperti ovviamente in politiche del lavoro (non basta essere giovani), in alternativa si è facili preda di errori grossolani o di approssimazione degli strumenti, ad esempio l’assurda discussione sulla famosa App Lavoro.

A ciò si aggiunge un secondo problema che riguarda il digital divide delle generazioni più anziane che si occupano di politiche attive del lavoro, ovvero un problema “psicologico”. La rivoluzione digitale mette in discussione tutti i riferimenti del passato (a prescindere che siano politici o funzionari), per coloro che non conoscono e fanno fatica a comprendere è più semplice mantenere i vecchi orientamenti verso strumenti che si conosco bene anche se ormai divenuti totalmente “obsoleti”, perché si sentono sicuri in questa sorta di “bolla del tempo” proponendo sempre la stessa ricetta ormai divenuta obsoleta (per esempio, Assegno di ricollocazione; Incentivi occupazionali e formazione, formazione e ancora formazione panacea di tutti i mali!). In futuro i colloqui di lavoro saranno quasi totalmente online, sia con piattaforme apposite oppure semplicemente utilizzando gli attuali canali (Zoom o Meet), il disoccupato “tipo” dovrà costruirsi un suo personal branding sui social media, essere in grado di realizzare brevi Video CV, fare colloqui online, prepararsi bene ad eventuali test psico-attitudinale e infine conoscere bene i motori di ricerca del lavoro. 

I Centri per l’impiego di oggi, non del domani, dato che anche in questo momento sui social e sulle piattaforme si cercano profili di ogni tipo e mansione, dovrebbero garantire ai più svantaggiati di poter accedere a questo nuovo mercato del lavoro e su questo andrebbero sviluppate le politiche attive del lavoro.

Si tratta di processi complessi, dove la partnership con attori di varia natura (profit e no-profit) potrebbe risultate fondamentale, ciò vuole dire costruire nuovi paradigmi nella delega ai privati. Pensiamo ad esempio alle potenzialità infinite della formazione professionale a distanza (laddove si potrà fare): permetterebbe un numero più alto di competenze disponibili da acquisire sul mercato, un costo minore per l’attore pubblico nell’erogare l’attività e la possibilità di contare su formatori valutati dal mercato.

L’analfabetizzazione digitale della politica sulle politiche attive del lavoro comporta che gli esclusi saranno ancora più esclusi, come si è visto ampiamente per quanto riguarda la Fase II del Reddito di cittadinanza, rispetto alla quale, oltre all’attività dei Navigator, sarebbero stati necessari progetti per far transitare i percettori del RdC in questo nuovo mercato del lavoro, attraverso team di esperti guidati da psicologi o motivatori. Si tratta di progetti costosi, finanziabili solo tramite risorse comunitarie nazionali e regionali, ma purtroppo rimane oscuro (almeno per chi scrive) come la politica si stia preparando a questa rivoluzione digitale, probabilmente si starà cullando nella sua “bolla” fino a quando lo “tsunami” digitale non la travolgerà…