L’economia in generale, tutti i settori della produzione di beni e di servizi, sono sottoposti a cambiamenti di fondo. I processi di globalizzazione hanno avuto una forte accelerazione negli ultimi anni, la mobilità di beni, persone e informazioni è cresciuta per velocità e quantità. La finanziarizzazione dei processi economici ha permesso la dilatazione dei mercati e creato nuovi problemi di tenuta dei sistemi economici. Assieme a finanza e allargamento dei mercati si sono messe in azione altre due forze. Il cambiamento climatico e le misure messe in atto dai Governi per contenere gli effetti stanno portando a trasformazioni in molti settori produttivi.
L’energia è un fattore strategico per le nostre economie e il cambiamento di questo settore incide su molti aspetti. Dalle tecnologie del vivere quotidiano ai metodi di produzione finora adottati alla sostituzione di beni che non avranno più mercato come previsto dall’Europa per le auto con motore a scoppio. Terzo fattore di trasformazione in atto è la digitalizzazione dei processi produttivi. Come le altre due spinte, anche questa cambia il modo di produrre, ma anche beni e servizi oggetto della produzione.
Era tutto già in azione quando la pandemia ha innestato un ulteriore fattore di accelerazione per i processi in corso e ha creato nuove distorsioni dati gli effetti asimmetrici che ha avuto, e ancora sta giocando, fra i diversi settori.
E il lavoro come si trova in questo contesto di grande cambiamento? Globalizzazione e finanza l’hanno indebolito. Le società sono state ridisegnate nella loro composizione e il processo non si è ancora concluso. Miliardi di persone sono uscite dalla povertà e nuovi Paesi hanno tassi di crescita di buon livello. È nel vecchio Occidente che il ridisegno sociale è pagato da parte dei ceti medi che perdono peso economico, rappresentanza e riconoscimento sociale e sembrano crescere le diseguaglianze senza una nuova mobilità sociale nel prossimo futuro.
I nuovi processi produttivi hanno ridisegnato molte professioni e cambiato la composizione di competenze richieste. Alcune professioni ripetitive di scarso contenuto formativo sono sparite o hanno trovato nella meccanizzazione una risposta. Anche alcune professioni di alto contenuto formativo incominciano a sentire la concorrenza dell’intelligenza artificiale con conseguente diminuzione dei posti di lavoro e perdita di status della professione. Due fasce professionali non subiscono rischi di scomparire: quelle di alto contenuto tecnico e scientifico, e comunque quelle con capacità di autonomia creativa e conoscenze economiche e tecniche. Vi si aggiungono poi tutte quelle attività che non posso delocalizzarsi e che vedono crescere al loro interno i servizi alla persona.
Una certa tensione sociale fra gruppi di professioni sempre più determinanti, ma ancora considerate e pagate come marginali, sta emergendo. Il fronte della logistica è quello che si è già acceso, ma sanità e assistenza sono solo rallentati dal perdurare dell’emergenza sanitaria.
Il fattore comune delle professioni comunque in ascesa è un insieme di competenze che somma al sapere tecnico, più o meno crescente a seconda del settore, un aumento delle competenze personali, le soft o cognitive skills, sempre più determinanti per essere in grado di essere flessibile, creativo, collaborativo e problem solving nell’ambito lavorativo.
Questo grande cambiamento investirà nei prossimi mesi milioni di lavoratori del nostro Paese. Potrà essere un’occasione di crescita collettiva del capitale umano o l’aprirsi di un baratro di solitudine. Dovremo ridisegnare i percorsi di entrata nel mercato del lavoro per i giovani che si formano in questi anni con un rapporto scuola-lavoro rinnovato e rafforzato (scompaiano nel nulla i ministri dei governi Conte che hanno cancellato l’alternanza scuola-lavoro e rallentato il sistema duale di formazione professionale). Ma soprattutto sarà necessario gestire un programma di reskilling e upskilling che coinvolga tutti quei lavoratori oggi impegnati in settori e professioni che subiranno le trasformazioni tecnologiche, organizzative e produttive.
Non è un processo che può essere lasciato in gestione solo ai singoli lavoratori e a uffici pubblici o privati di formazione. Sono indubbiamente processi collettivi, riguardano, come detto, competenze che escono dal perimetro della pura formazione tecnica e contribuiranno a disegnare i nuovi modelli di organizzazione del lavoro.
Dovessi dire da dove partire ora per dare piena dignità al lavoro e impostare un nuovo modo di dare rappresentanza al lavoro contro le nuove diseguaglianze partirei da qui, da un programma in grado di sostenere la transizione che interesserà molti lavoratori dei più diversi settori e allargando il progetto a includere, nella crescita di peso del lavoro nella produzione, i lavoratori dei settori oggi esclusi.
Per riuscire a sviluppare un programma di questo tipo bisogna seguire l’esempio che hanno saputo portare avanti quei sindacalisti della Felsa che hanno saputo difendere sul lavoro interinale la dignità di tutti i lavoratori, creare fondi di welfare di settore per i periodi più duri e gestire i percorsi di formazione perché le transizioni siano da lavoro a lavoro. Da sconfiggere è invece la cultura del sussidio. Si è iniziato come per necessità di fronte a una forte crisi, ma oggi di fronte a ogni problema sociale si pensa che la risposta sia un sussidio e non cercare una soluzione che rimetta ala centro le capacità della persona.
Ecco, la discesa della decrescita felice è resa più scivolosa dalla scelta di scansare il lavoro e sostituirlo con un sussidio. È la dolce droga del populismo che finisce per avvelenare i pozzi del lavoro e della società.
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