È stato pubblicato il Rapporto Istat sulla povertà in Italia con i dati riferiti al 2021, il secondo anno segnato dalle misure di contenimento anti-covid e in cui la situazione economica complessiva ha iniziato a registrare una ripresa nel secondo semestre, ma ancora poco sul fronte occupazionale. È probabilmente questa la principale ragione che fa sì che la situazione della povertà assoluta sia rimasta a livello nazionale quella dell’anno prima.



Risultano infatti al livello di povertà assoluta 1,9 milioni di famiglie (pari al 7,5%) per un totale di 5,6 milioni di individui (il 9,4% dell’intera popolazione). La spiegazione del risultato complessivo è probabilmente da fare risalire alla formula di riferimento. La povertà assoluta viene calcolata sulla base della capacità di spesa per consumi. Sotto un certo livello di spesa mensile, tenendo conto della zona di residenza e della composizione dei nuclei famigliari, si individua la soglia oltre la quale viene definita la povertà assoluta.



Le fasce più povere hanno avuto nell’anno passato una crescita della spesa in consumi dell’1,7%. Una crescita inferiore all’aumento dei prezzi registrato nell’anno. Di conseguenza i consumi sono calati visto il mancato recupero dei redditi di fronte all’inflazione. Dato questo che peserà ulteriormente quest’anno se non vi saranno interventi mirati a sostenere i consumi di base.

Come sempre la fortuna è cieca, ma la sfortuna ci vede benissimo. Quindi, i più penalizzati sono stati i residenti nel Mezzogiorno e le famiglie con il maggior numero di componenti. Quest’ultimo dato comporta che molti bambini siano colpiti dagli effetti della povertà.



Livello di istruzione alto e professionalità tecniche sono l’argine migliore contro il rischio povertà. Anche il sistema pensionistico garantisce una certa copertura dai rischi, ma non basta nella fascia minima e per chi ha famigliari a carico. Quasi 750 mila over 65 sono sotto il livello di povertà assoluta. Fra gli stranieri registrati nel nostro Paese la povertà è ancora più evidente. Il 34% dei residenti risulta sotto la soglia e rappresentano 1,6 milioni di persone, ossia il 28,5% del totale dei poveri residenti in Italia.

Numeri così netti non possono non porci il problema di cercare di capire di più sulla composizione delle fasce di povertà, sulle cause e sui possibili provvedimenti che possono essere presi per affrontare il problema. 

Intanto va detto che se il Reddito di cittadinanza è stato un primo provvedimento per affrontare il tema della povertà, i dati ci confermano che non ha funzionato. Non ha sostenuto quelli che doveva sostenere, poveri e con problemi di fragilità che vanno oltre la disoccupazione, e non ha sostenuto percorsi di reinserimento lavorativo per coloro che erano in difetto di bisogno in attesa di una nuova occupazione.

Per questo ritengo che i numeri siano da valutare alla luce delle distorsioni che caratterizzano il nostro mercato del lavoro. La forte ripresa del Pil del 2021 non ha fatto in tempo a coinvolgere la ripresa occupazionale. Già normalmente una ripresa della produzione produce gli effetti occupazionali con uno scarto di sei mesi. A ciò va aggiunto che la ripresa è stata asimmetrica rispetto ai settori dell’economia producendo quindi un primo riassorbimento di occupati nell’industria e nelle costruzioni (lavoratori con professionalità mediamente più alte e concentrati soprattutto al nord) e solo con ritardo ha ripreso il settore dei servizi con lavoratori con basse qualifiche professionali.

È soprattutto in questa sempre più ampia fascia di lavoratori dei servizi con scarsa formazione professionale che si stanno concentrando i fenomeni più acuti delle distorsioni del mercato del lavoro italiano. Si sommano qui molti dei problemi storici e nuove forme di sfruttamento. Se aggiungiamo che è il settore dove l’eccesso di braccia funziona ancora come limitante per una ripresa dei salari di base vediamo che si delinea gran parte di quella zona grigia che definiamo del lavoro povero. E non può bastarci la constatazione che parte di questi lavoratori integrano con una quota in nero i redditi ufficiali. Questo spiega forse perché, pur in presenza del 10% di popolazione povera, non assistiamo a moti insurrezionali per il pane, ma non possiamo certamente ritenere dignitosa per il lavoro una situazione di continuo ricatto cui sono sottoposti questi lavoratori.

Nel discorso tenuto nella giornata contro la povertà Papa Francesco ci ha ricordato che “la povertà che uccide è la miseria, figlia dell’ingiustizia, dello sfruttamento, della violenza e della distribuzione ingiusta delle risorse. È la povertà disperata, priva di futuro, perché imposta dalla cultura dello scarto che non concede prospettive né vie d’uscita. È la miseria che, mentre costringe nella condizione di indigenza estrema, intacca anche la dimensione spirituale, che, anche se spesso è trascurata, non per questo non esiste o non conta. Quando l’unica legge diventa il calcolo del guadagno a fine giornata, allora non si hanno più freni ad adottare la logica dello sfruttamento delle persone: gli altri sono solo dei mezzi. Non esistono più giusto salario, giusto orario lavorativo, e si creano nuove forme di schiavitù, subite da persone che non hanno alternativa e devono accettare questa velenosa ingiustizia pur di racimolare il minimo per il sostentamento”.

Si delineano quindi gli interventi utili. Contratti sindacali che ottengano giusti salari, orari lavorativi giusti e tutele delle condizioni di lavoro delle persone. Oltre i bisogni immediati servono aiuti per affrontare il senso del lavoro e i periodi di difficoltà. Ecco che servizi al lavoro capaci di prendersi in carico le persone e le loro fragilità non possono essere rinviati e sono parte fondamentale della lotta alle povertà.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI