Come ogni anno quando si arriva alla sessione di bilancio si parla di spread, flessibilità e debito pubblico anche sulla base di quello che ci dice, o ci chiede, l’Europa. Questo ruolo di “giudice” ultimo e austero delle nostre politiche non ha certamente aiutato, negli ultimi anni, a far crescere l’apprezzamento delle istituzioni comunitarie nella maggioranza dei nostri concittadini come, peraltro, il buon risultato elettorale delle forze, a vario titolo, populiste sembra dimostrare. Pare, insomma, che una certa visione tecnocratica abbia preso il sopravvento su quella “sociale” dell’Europa e sul suo “sogno” di un liberalismo moderato rappresentato dal modello dell’economia sociale di mercato.
Alcune iniziative, tuttavia, in questo senso, almeno in linea teorica, sembrano non mancare. È di pochi giorni fa, ad esempio, l’avvio delle attività dell’Autorità europea del lavoro. Questa, secondo la Commissione, dovrebbe rappresentare l’elemento fondamentale delle iniziative comunitarie volte a rendere eque, efficaci e applicabili le norme europee in materia di lavoro. In particolare, la nuova Authority dovrebbe fornire ai lavoratori e ai datori di lavoro un miglior accesso alle informazioni sui loro diritti e obblighi e sosterrà le autorità nazionali del lavoro nelle loro attività transfrontaliere. Ciò si dovrebbe tradurre, in concreto, in un sostegno diretto a milioni di cittadini europei che vivono o lavorano in un altro Stato membro, così come a milioni di imprese che operano a livello transfrontaliero.
Si tratta, insomma, di un altro passo avanti, almeno secondo l’esecutivo europeo, verso un mercato europeo del lavoro integrato e fondato sulla fiducia, su norme affidabili e su una cooperazione efficace. Un fenomeno, quello di cui si parla, tutt’altro che irrilevante. Si pensi infatti che circa 17,5 milioni di cittadini europei vivono o lavorano attualmente in un altro Stato membro: il doppio rispetto a dieci anni fa.
In questo quadro la nuova agenzia sarà chiamata a facilitare ai cittadini e alle imprese l’accesso alle informazioni sui loro diritti e obblighi e ai servizi pertinenti, ad agevolare la cooperazione tra gli Stati membri nell’applicazione del diritto dell’Unione per quanto di sua competenza, anche mediante ispezioni concertate e congiunte e la lotta al lavoro non dichiarato, e a facilitare la ricerca di soluzioni nei casi di controversie transfrontaliere.
Nonostante questo, è bene precisare, che non saranno, ahimè, individuate nuove competenze a livello dell’Unione e gli Stati membri rimarranno, anche dopo l’avvio della nuova struttura, pienamente responsabili dell’applicazione delle norme in materia di lavoro e sicurezza sociale.
L’auspicio, quindi, è che l’Agenzia, in questa prospettiva, non diventi un nuovo “carrozzone” europeo di burocrati, ma che diventi lo stimolo per iniziare a immaginare un’Europa sociale, e del lavoro, che si doti almeno di un corpo minimo di regole condivise senza le quali è difficilmente immaginabile la nascita di una vera cittadinanza europea.