Questa legislatura si è aperta all’insegna del bipopulismo giallo-verde e si è chiusa con la riconferma che le spinte populistiche di Lega e 5 Stelle non sono compatibili con l’assunzione di responsabilità come richiesto dalla situazione internazionale e dalla congiuntura economica del Paese. Stupisce che anche forze che hanno esercitato a lungo responsabilità di governo negli anni passati si siano accodate irresponsabilmente a posizioni sovraniste e populiste creando la peggiore crisi politica del secondo dopoguerra. La drammaticità dei fatti è documentata anche da una campagna elettorale che si svolgerà in tempi rapidissimi e per la prima volta durante l’estate. 



Per come si è arrivati a determinare la crisi possiamo prevedere che ci saranno due schieramenti, non necessariamente due alleanze elettorali, che saranno caratterizzate, da un lato, a volersi candidare a riprendere il programma del governo Draghi e portare a compimento il programma di riforme collegato con il Pnrr, oltre a confermare gli impegni internazionali con l’Europa e la Nato e, dall’altro, un fronte di forze politiche, seppur divise, perchè i 5 stelle saranno soli, che riproporranno nuova spesa pubblica travestita con slogan di meno tasse e più reddito, dubbi e perplessità sulle alleanze internazionali e posizioni di rendita per troppe corporazioni che vivono di privilegi a spese delle tasse di chi lavora.



In questo quadro dove rischia di prevalere l’irresponsabilità potrà uscire con difficoltà il tema del lavoro e delle politiche a sostegno dell’occupazione che si stavano delineando. Eppure la cosiddetta agenda sociale era stata uno degli ultimi atti politici fatti dal Governo in carica e sembrava un tema che potesse rinsaldare il patto programmatico fra forze diverse. L’uso strumentale che i populisti hanno fatto dei temi sociali, utile solo per darsi una parvenza di serietà, non deve però portare anche chi vuole proseguire negli impegni di riforma a togliere centralità a temi che saranno ancora più caldi nel prossimo autunno.



Ricordiamo il filo rosso delle politiche e delle riforme avviate. Il Pnrr ha previsto un importante insieme di interventi che saldano assieme la creazione del sistema dei servizi per le politiche attive del lavoro (programma Gol) con interventi massicci sulla fase formativa per chi è già inserito nel lavoro (Fondo nuove competenze per percorsi di upskilling e reskilling) per affrontare i mutamenti da digitalizzazione e sostenibilità che impatteranno sul sistema produttivo e anche un rafforzamento del sistema duale nella formazione professionale per affrontare il profondo mismatching esistente fra domanda e offerta di lavoro.

A queste misure previste nel Pnrr si devono aggiungere i temi aperti nel confronto con le rappresentanze sociali. Il primo confronto aveva individuato nel salario minimo, il taglio del cuneo fiscale sul lavoro e nella flessibilità di passerelle di uscita per i pensionamenti i primi temi da affrontare e aveva cercato di delineare la forma con cui affrontarli. Altri temi avevano certo un impatto su quanto si iniziava a delineare. La messa in ordine del Reddito di cittadinanza separando esigenze sociali dai percorsi di inserimento lavorativo era certo uno di questi. E certamente non si può negare che una riforma fiscale non avrà impatto anche sui temi del lavoro che si stavano affrontando.

Ora questa struttura di interventi può essere confermata e può trovare il modo di inserirsi in un quadro di riforme dai contorni più netti.

Il primo schema dei servizi e delle politiche attive del lavoro va inserito nel rilancio di un sistema di workfare. Scelta la via della difesa e della tutela dei lavoratori nel mercato e non dal mercato abbiamo bisogno che il sistema dei diritti e delle tutele individuali e collettive sia adeguato. Dal sistema degli ammortizzatori sociali alla partecipazione dei lavoratori alle decisioni delle imprese è un percorso di iniziative contrattuali, culturali, politiche e legislative che va rilanciato.

La politica del lavoro e le decisioni su fiscalità e salari sono anche tra i tasselli principali per la lotta contro le nuove povertà e i lavori poveri. Senza misure decise per un salario equo e per una disintermediazione della finanziarizzazione dei processi produttivi e sociali non si fanno politiche contro l’aumento delle differenze sociali nella distribuzione del reddito. Non si tratta di aprire nuovi buchi nella spesa pubblica. È una politica di crescita della produttività e delle risorse disponibili che portino a una redistribuzione a favore dei salari verso profitti e rendite. Senza proposte estremiste contro chi guadagna onestamente, anzi ribadendo che sono politiche contro la povertà e non contro la ricchezza.

Se vogliamo affrontare il tema della difesa dei giovani contro i lavori poveri dobbiamo migliorare enormemente il nostro sistema scolastico e della formazione professionale. Senza questo salto di qualità anche gli investimenti previsti per gli occupati avrebbero un impatto solo temporaneo.

Una scuola che torni ad avere come metro di misura l’alto livello di preparazione degli studenti è il contrario di quella attuale dove prevalgono interessi corporativi di bidelli e professori. Serve un altro sistema dove esista una competizione fra istituti, dove l’autonomia renda efficiente un sistema piegato su se stesso. E a fianco dei percorsi scolastici un sistema di formazione professionale sempre più on the job che sia complementare a quelle scolastico ma che veda, come per gli ITS, il pieno coinvolgimento del sistema delle imprese.

Infine si deve fare i conti con l’impatto che il calo demografico avrà, con sempre maggiore evidenza, sull’offerta di lavoro. Come valorizzare al meglio gli anziani che vorremo trattenere comunque in attività, come permetter al nostro sistema di welfare, legato ai versamenti fatti da chi lavora, di essere ancora forte, universale e in equilibrio, sono sfide da affrontare assieme alle scelte che ora si fanno per difendere i diritti dei lavoratori di oggi.

Al centro della campagna elettorale di chi vorrà candidarsi a proseguire “l’agenda Draghi” dovrà esserci la capacità di coniugare gli interventi dell’oggi con una visione delle sfide del futuro per mettere al centro di una nuova fase di sviluppo la dignità del lavoro.

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