L’Istat ha pubblicato i dati relativi al mese di luglio sull’andamento del mercato del lavoro. Dopo quattro mesi caratterizzati dal segno negativo abbiamo un primo mese con un aumento dell’occupazione (85 mila unità in più rispetto al mese precedente) e il tasso di occupazione complessivo che segna un +0,2% arrivando al 57,8%. Questo grazie a un incremento dei lavoratori dipendenti con una prevalenza delle lavoratrici rispetto ai maschi. Cala invece ancora il lavoro indipendente.



Prosegue ancora l’incremento dei disoccupati (+134 mila) dato l’ulteriore calo del numero degli inattivi. Il piccolo dato positivo di luglio non riguarda i giovani che sono pressoché assenti fra i nuovi occupati. Continua ad aumentare il numero delle ore lavorate e quindi diminuisce il ricorso alla Cassa integrazione.



I dati Istat confermano i giudizi ricavabili già nel mese precedente. La fine del lockdown e la ripresa delle attività in molti settori produttivi favorisce recuperi occupazionali e riporta sul mercato del lavoro molti che avevano smesso di cercare una nuova occupazione. Da qui la lenta crescita dell’occupazione e una ripresa più veloce del numero di disoccupati.

La situazione rimane quindi quella di un mercato del lavoro con forti squilibri sociali e geografici e che registra ancora oltre 550 mila posti di lavoro in meno rispetto allo stesso mese dell’anno precedente.

Anche i dati di luglio risentono ancora dell’uso massiccio della Cig estesa a tutti i settori, del blocco dei licenziamenti e della proroga dei contratti a termine. Sulla base delle stime delle ore di Cig effettivamente erogate nei mesi passati e visti i settori che vi hanno fatto maggiormente ricorso è evidente che avremo un autunno particolarmente pesante per chi ha bisogno di lavorare.



Quasi tutti i modelli di previsione stimano che al milione e mezzo di disoccupati già registrati si aggiungerà almeno un altro milione di lavoratori attualmente protetti dalla legislazione di tutela dei posti di lavoro che è destinata a essere superata nei prossimi mesi.

Ecco che si ripresenterà la situazione che chi ha a cuore la tutela delle persone e del loro lavoro ha già rilevato all’inizio di questa particolare crisi, la cui caratteristica principale è quella di una scossa economica asimmetrica. Ha colpito tutti, ma in modo molto diverso. Alcuni settori economici cresceranno per permettere alla società di riprendersi, mentre per altri si prospetta un lungo periodo di minori ricavi.

La ritrovata solidarietà europea ha messo in moto una grande mole di risorse per sostenere il debito degli Stati per favorire nuove politiche di investimenti, sostenere la ripresa con uno sviluppo caratterizzato dalla transizione green e dal passaggio alle tecnologie digitali avanzate. Un fondo apposito è stato poi predisposto per investimenti nel settore della salute e un altro per le politiche per l’occupazione.

Sono tutti fondi a debito, vanno pertanto restituiti e quindi, come ha ben spiegato Draghi nell’intervento al Meeting di Rimini, devono essere debiti buoni. Anche la parte relativa al finanziamento delle politiche per l’occupazione deve avere la caratteristica di essere un investimento che mette in moto più risorse di quanto rappresenta, così da essere in grado di ripagarsi. È evidente che semplici interventi di distribuzione di bonus e sussidi non sono in linea con quanto occorre ora fare.

La stessa crisi in questi mesi ha reso evidente che il lavoro richiede tutele nuove perché sono intervenuti cambiamenti nel sistema produttivo che hanno mutato i rapporti lavorativi. Le stesse legislazioni di blocco dei licenziamenti e proroga di contratti hanno fatto emergere che il numero di chi non aveva tutele e che non era coperto dalla legislazione era molto superiore alle previsioni. La domanda di assistenza ai centri di sostegno per la fragilità economiche è salita oltre ogni aspettativa. Vi è perciò bisogno di un intervento che ridisegni le politiche attive del lavoro.

Se questa crisi può farci chiarezza su cosa serve per dare reale centralità al lavoro, anche in questa fase storica, c’è bisogno di creare strumenti universali che assicurino:

– sostegno al reddito per chi resta senza lavoro;

– percorsi obbligatori di ricerca di nuove occasioni lavorative;

– pacchetti di formazione per adeguare le proprie competenze professionali;

– lo sviluppo del settore del sistema formativo duale ponendo l’obiettivo di almeno un milione di giovani coinvolti nella formazione professionale primaria e terziaria.

Questo nuovo modello di intervento generale deve coinvolgere tutte le agenzie del lavoro pubbliche e private per poter da subito organizzare una grande offerta di servizi.

La crisi, come già detto, è però fortemente squilibrata nei settori e quindi creerà anche disoccupati con aspettative diverse. C’è perciò bisogno che i Comuni siano attivati per creare patti territoriali per il lavoro che, coinvolgendo le agenzie del lavoro, sviluppino progetti di occupazione temporanea per i lavoratori di quei settori che avranno una ripresa più lenta di altri a causa del blocco di molte attività.

Sta qui la sfida per chi governa di avere una nuova progettualità per il welfare del futuro, ma anche la forza di avviare da subito un new deal territoriale che risponda al bisogno di lavoro che si presenterà a breve.