La manovra economica presentata dal Governo può riassumersi in pochi o passaggi. Ha mantenuto il taglio del cuneo fiscale per trasformare in strutturale la misura di tutela dei redditi da lavoro più bassi assieme all’accorpamento delle aliquote Irpef in tre scaglioni. Sono aumentate le misure sui congedi parentali ed è stata mantenuta la tassazione agevolata al 5% per i premi di produttività. E con questo si è cercato di non creare nuove tensioni sociali, ma si sono di fatto confermate misure già in atto senza avanzare nuove iniziative a favore dei redditi del ceto medio. La copertura è stata trovata con un taglio del 5% del bilancio dei ministeri salvaguardando la sanità.
La protesta delle opposizioni si è caratterizzata per la denuncia dei tagli, la richiesta di mettere più risorse per la sanità ma ovviamente senza indicare strade diverse per come generare risparmi e tracciare il sentiero per la diminuzione del debito pubblico.
Praticamente negli stessi giorni abbiamo avuto i dati dell’andamento della occupazione per il primo semestre dell’anno e le previsioni per l’ultimo periodo. Le aspettative restano positive in termini quantitativi. Siamo al massimo storico del tasso di occupazione, scende il tasso di disoccupazione e aumenta il numero di chi si ritira dal mercato del lavoro.
Sono aumentati i contratti a tempo indeterminato, ma nell’ultimo periodo è ripreso un aumento della cassa integrazione e l’incremento dell’occupazione è dovuto esclusivamente alla crescita del lavoro autonomo. Quindi, complessivamente abbiamo un tasso di occupazione da record, ma che ci colloca sempre ultimi fra i Paesi europei. Il tasso di occupazione femminile è ancora molto basso e segna grandi differenze territoriali. Non solo lavorano poche donne, ma il part-time involontario è per tre quarti composto da lavoro femminile. Se poi guardiamo a dove è cresciuta di più l’occupazione notiamo che è avvenuto in settori (edilizia e servizi) a bassa produttività e nelle qualifiche più basse. Tirando le somme, la crescita dell’economia e dell’occupazione nel periodo post-pandemia non hanno corretto le debolezze del nostro mercato del lavoro e non c’è stato un aumento di occupazione di qualità.
A conferma sono arrivati i dati sulla povertà che vedono fermo il numero complessivo di famiglie povere con però un aumento dei lavoratori poveri rispetto agli anni precedenti.
La manovra economica del Governo poteva dare una risposta a questo quadro del lavoro e della povertà del nostro paese o è ininfluente? Se guardiamo agli slogan che caratterizzano i due schieramenti che si fronteggiano, il tema è utilizzato solo per sventolare bandiere ideologiche.
Da parte governativa la difesa del taglio al cuneo fiscale è vantata come la risposta ai bassi salari. In più si continua a insistere sul fatto che la revisione del Reddito di cittadinanza è servita per restituire centralità al fatto che la prima risposta alla povertà è il lavoro, ma senza prendere nessuna iniziativa per promuovere realmente politiche attive per l’occupazione.
A conferma che il nostro bipolarismo è caratterizzato da due populismi da sinistra si pensa che basterebbero due interventi legislativi per smuovere l’economia verso il miglioramento della situazione del lavoro. Per primo si propone l’intervento legislativo per fissare un salario minimo, provvedimento che slegato da contrattazione e produttività produrrebbe un deficit folle pari solo alla economia da gioco del monopoli del 110%. Poi non contenti di fissare per legge i salari si pensa di fissare anche la diminuzione dell’orario di lavoro. Forse si pensa così di fare rientrare i part-time involontari in orari legali.
Le manovre economiche complessive potrebbero però essere utilizzate meglio per affrontare almeno i macro problemi che caratterizzano le disfunzioni del nostro mercato del lavoro.
La questione salariale sta pagando due effetti principali. La stasi della produttività e i ritardi dei rinnovi contrattuali in un periodo di inflazione hanno tagliato il valore reale di salari e, con le misure di tutela legate solo alle fasce più basse, sono stati livellati al ribasso i salari reali medi. Il risultato è che l’economia reale ha favorito una distribuzione dei redditi che ha premiato rendite e profitti con in più uno schiacciamento della parte centrale dei redditi da lavoro.
La risposta principale per uscire da questa trappola è accelerare gli investimenti per la ripresa economica, fare le riforme utili per aumentare la produttività di sistema, bloccare inflazione e crescita del deficit pubblico e accompagnare il tutto con una riforma fiscale adeguata ai cambiamenti che vi sono stati negli anni e che oggi fanno sì che il nostro sistema di tassazione premi gli alti redditi e penalizzi il lavoro dipendente.
Queste linee generali non devono però far perdere di vista che vi sono anche scelte immediate da fare per correggere distorsioni macroscopiche. L’introduzione di bonus di ogni tipo motivati come sostegno al reddito per categorie più povere non ha dato risultati e ha in compenso allontanato dal mercato del lavoro persone che avrebbero potuto dare un maggiore contributo.
L’assenza di monitoraggio e valutazione di bonus alle famiglie come per le defiscalizzazioni per le imprese porta a spreco di risorse, assenza di risultati e protrarsi di sacche di disagio sociale nonostante le risorse impegnate. Una valutazione attenta dei sostegni economici e la definizione degli obiettivi con cui misurare l’efficacia dei provvedimenti permetterebbe già oggi di recuperare risorse per sostenere investimenti a favore del lavoro di qualità.
Lo scontro fra posizioni populiste rinvia ancora la possibilità di affrontare i problemi storici che caratterizzano il nostro mercato del lavoro.
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