Nel momento in cui si scrive non è noto l’esito del Consiglio dei Ministri e della crisi politica del Governo Conte in corso. Tuttavia è già possibile leggere e analizzare, come ormai prassi (si veda i vari Dpcm), l’ultima bozza, ufficiale e/o ufficiosa, del Piano per la ripresa e la resilienza del nostro Paese che l’esecutivo presenterà, nei prossimi giorni, all’Europa.



Particolarmente interessanti sono le scelte, che hanno portato nelle settimane scorse anche a frizioni tra le varie parti politiche della maggioranza, in materia di politiche (attive) per il lavoro. In questo ambito il Governo propone di mettere in campo provvedimenti e misure finalizzati ad accompagnare la trasformazione del mercato del lavoro definendo nuovi strumenti per facilitare le transizioni occupazionali, per migliorare l’occupabilità dei lavoratori e per innalzare il livello delle tutele “nel mercato” attraverso la formazione.



Si scommette, in particolare, su una piena, o perlomeno maggiore, integrazione dei percorsi di riqualificazione delle competenze a supporto dei lavoratori in transizione occupazionale puntando sull’istituzione di un nuovo programma nazionale denominato “Garanzia di occupabilità dei lavoratori” (Gol). 

In questo quadro si dichiara, ma non è certamente una novità, di voler potenziare i Centri per l’impiego, affinché possano sistematicamente, e diffusamente, svolgere attività di analisi del fabbisogno di competenze, di costruzione di piani formativi e, quindi, di orientamento e accompagnamento al lavoro in un sistema che dovrebbe essere in grado di coinvolgere sia operatori pubblici che privati.



Si prospetta, quindi, di “fare il tagliando” all’assegno di ricollocazione (già peraltro finanziato nella Legge di bilancio), prevedendo un sistema di profilazione unico a livello nazionale e predisponendo un’offerta di servizi che integri, sempre più, la formazione per l’aggiornamento professionale, la riqualificazione o la riconversione, anche attraverso percorsi che consentano di acquisire, tramite riconoscimento dei crediti, qualifiche e diplomi professionali, diplomi di tecnici superiori e, addirittura, lauree “professionalizzanti”. 

Allo stesso tempo si sostiene il rafforzamento del sistema della formazione professionale promuovendo la costruzione di una rete territoriale (integrata?) dei servizi di istruzione, formazione, lavoro anche attraverso la definizione di partenariati pubblico-privati finalizzati a sviluppare un sistema permanente di formazione lungo tutto l’arco della vita.

Si immagina, inoltre, di fissare, in collaborazione con le Regioni, standard per la formazione dei beneficiari di strumenti di sostegno al reddito dei disoccupati, ovvero dei beneficiari del reddito di cittadinanza e di disoccupati di lunga durata, nonché per lavoratori, a vario titolo, in cassa integrazione.

Su queste proposte non dovrebbe essere, insomma, così difficile riuscire a trovare un accordo nella maggioranza, ma, anche, con altre forze politiche, e sociali, responsabili e interessate al futuro del Paese.

Colpisce, tuttavia, come, anche in questa occasione, sembra sempre che l’esecutivo di turno parta da zero e che nulla, in questo campo, sia stato fatto negli ultimi anni. Potrebbe essere, quindi, auspicabile, e rappresentare un segno di reale rottura e cambiamento rispetto al passato, ripartire, nella definizione di dettaglio degli strumenti, da un dialogo con tutti i soggetti a vario titolo coinvolti al fine di individuare “buone pratiche” già realizzatesi e che potrebbero, partendo dai territori o da target specifici, diventare modelli operativi efficaci per tutto il Paese.