Il terremoto economico e sociale scatenato dal virus mette in priorità questioni rimaste ancora irrisolte, tanto più sul versante lavoro. La Cisl chiede un’azione determinata già nel “decreto luglio”, con la proroga della cassa integrazione, delle indennità rivolte al lavoro stagionale e autonomo e del blocco dei licenziamenti per tutto il 2020. Ci sono da accelerare le procedure di liquidazione delle casse integrazioni, soprattutto di quelle in deroga: a quattro mesi dal Cura Italia sono ancora centinaia di migliaia le persone che aspettano i primi assegni.
Nella riforma che verrà, andrà semplificata la pletora di adempimenti e procedure che allunga enormemente i tempi di erogazione degli assegni. Si tratta, poi, di salvaguardare la natura mutualistica e assicurativa del sistema di protezione passiva, con forme graduali e diversificate di versamento che assicurino l’estensione delle tutele anche ai lavoratori delle piccole e delle microaziende. Bisogna infine investire massicciamente sull’edificio delle politiche attive, con percorsi di riqualificazione da collegare organicamente agli strumenti di sostegno passivo al reddito.
In questo senso, chiediamo la reintroduzione anche per i percettori di Naspi dell’assegno di ricollocazione, l’unico vero strumento di politica attiva messo in campo in Italia. A sostegno del necessario reskilling deve intervenire un Fondo Nuove Competenze adeguatamente finanziato e chiamato a promuovere tanto la formazione dei lavoratori attivi, quanto quella delle persone disoccupate e in cassa integrazione. Altrettanto importante sarà agganciare il Piano Sure varato dall’Unione europea: un’opportunità da non perdere se vogliamo fare massa critica sulle risorse e avvicinare obiettivi strutturali.
Una regia nazionale su politiche attive ben calibrate sulle esigenze dei territori presuppone accordi rapidi tra Governo e Regioni e un percorso di stabilizzazione di tutti i lavoratori di Anpal Servizi, il motore operativo dell’Agenzia nazionale dedicata. Va inoltre potenziata la dotazione umana e strumentale dei Centri per l’impiego, con investimenti massicci su formazione, digitalizzazione e il collegamento delle banche dati nazionali e regionali. Tutti segmenti che convergono su un obiettivo strategico: assicurare alla persona una rete di tutele e diritti che le garantiscano reddito e formazione sia in costanza di rapporto di lavoro che durante le transizioni occupazionali.
Resta poi la questione di fondo del lavoro che non c’è, e che per essere generato richiede lo sblocco di massicci investimenti produttivi in infrastrutture, politiche industriali, ricerca e innovazione, un forte turnover nella scuola e nella Pubblica amministrazione, una fiscalità di sviluppo che stimoli il capitale privato e l’occupazione di qualità anche nelle piccole e medie imprese e sopratutto nelle aree deboli del nostro Mezzogiorno. Significa anche sostenere le assunzioni a tempo indeterminato sospendendo i contenuti del decreto dignità e restituendo alla contrattazione la definizione delle causali per i rinnovi dei contratti a tempo determinato e in somministrazione.
La ministra Catalfo ha recentemente annunciato l’intenzione di istituire un gruppo di esperti per ammodernare e migliorare il sistema di ammortizzatori: un primo passo significativo, che da solo, però, non basta. Solo un metodo di lavoro pienamente partecipato, che veda il coinvolgimento attivo delle Parti sociali, può condurre a riforme in grado di rispondere alle scottanti emergenze e, contemporaneamente, di sciogliere nodi strutturali del nostro sistema di protezione sociale.
Finora, su queste materie, non c’è ancora stato uno scatto vero verso una cooperazione sociale stabile. Il Decreto semplificazione poteva essere una prima opportunità, ma così non è stato. Ora non dobbiamo ripetere l’errore, ma va aperta una fase di innovazione concertata, che miri a far progredire gli strumenti di tutela, di sviluppo e di promozione della persona che lavora o che cerca lavoro, verso un nuovo patto sociale che non escluda la responsabilità di nessuno.