La situazione d’emergenza per il coronavirus ha colpito ormai l’intero Paese. Accanto al delicatissimo e drammatico problema sanitario, in cui ciascuno deve offrire il proprio sacrificio in termini di libertà, obbedienza e quindi di educazione, assistiamo a una rinnovata crisi nel mercato del lavoro.
Già le previsioni dal punto di vista economico, produttivo e occupazionale per il 2020, al netto dell’emergenza COVID-19, non erano confortanti, anzi. Oggi questa situazione rischia il collasso, in particolare per quelle categorie di persone che vivono maggiormente l’instabilità e la discontinuità lavorativa. Mi riferisco in particolare a tre gruppi: lavoratori autonomi, lavoratori temporanei e i disoccupati.
Per quanto riguarda i lavoratori autonomi, (intese le partite Iva individuali, i liberi professionisti e free lance), a differenza dei classici lavoratori dipendenti, non dispongono di nessun ammortizzatore sociale. Per i dipendenti in questa situazione si possono attivare strumenti di varia natura, dalla cassa integrazione, alle ferie, permessi o congedi. I lavoratori autonomi non dispongono nulla di tutto questo. È stato previsto, per i soli residenti nei comuni dell’originaria “zona rossa”, un indennizzo una tantum di 500 euro al mese per massimo tre mesi. A fronte dell’evolversi della situazione, tale ammortizzatore sociale dovrebbe essere esteso a tutta Italia, qualora sia comprovato il legame tra la chiusura o calo dell’attività e l’emergenza sanitaria.
Alcuni esempi. I lavoratori autonomi delle discipline sportive, le attività educative e formative, sono soggetti a sospensioni lavorative assolutamente documentabili e riconducibili allo stato di emergenza in quanto i locali (palestre, scuole, centri sportivi, ecc.) non sono accessibili; il variegato mondo dello spettacolo, in particolare quello viaggiante, che ha il doppio problema di non poter lavorare (chiusura delle attività ludiche) e non disporre nemmeno degli spazi per poter alloggiare con i carovan con le loro famiglie; i venditori ambulanti e i micro ristoratori, con il blocco dei mercati e delle attività. È quindi possibile effettuare un’analisi, anche puntuale, di quelle attività e professioni che più di altre hanno subito un danno collegato direttamente alla situazione di emergenza, al fine di corrispondere un adeguato sostegno economico.
Una seconda platea riguarda i lavoratori temporanei e in particolare i lavoratori somministrati. In una situazione di incertezza, prima ancora che diventi compiutamente crisi e contrazione, i primi posti di lavoro messi in discussione sono quelli dei lavoratori con un contratto in scadenza. È necessario prevedere che gli ammortizzatori sociali predisposti, anche in deroga alla normativa ordinaria, vengano subito ampliati in favore dei lavoratori temporanei e somministrati. Occorre mantenere le persone agganciate alle loro aziende, per poter continuare a garantirgli un reddito e in prospettiva essere in grado di rispondere in modo efficace, produttivo e veloce alla ripartenza economica che si presenterà una volta superata la fase d’emergenza. È opportuno contestualmente allentare ogni vincolo alla continuità occupazione dei lavoratori temporanei. Mi riferisco nello specifico alle cosiddette causali. Oggi un’azienda che vuole rinnovare un lavoratore, o vuole proseguire anche oltre i 12 mesi con un contratto a termine, deve esplicitare le ragioni che inducono a tale scelta. La causale oggi ha un solo nome: “covid-19”. Quindi una soluzione possibile, praticabile ed efficace, sarebbe quella di identificare le causali tramite la contrattazione aziendale, così che le parti sociali possano garantire compiutamente la continuità lavorativa delle persone con un contratto a termine, valutando nel merito il legame con l’eccezionalità della situazione.
Una terza e ultima platea, riguarda i disoccupati. Questa è la platea indubbiamente più fragile e più esposta alle ripercussioni economiche e lavorative della crisi. Una delle ricadute da evitare assolutamente è l’allungarsi dei periodi medi di disoccupazione. Non solo perché alla lunga, anche gli ammortizzatori sociali per i disoccupati (Naspi) terminano, ma soprattutto perché più si allunga il periodo di disoccupazione e più si abbassa la probabilità di trovare un nuovo posto di lavoro. Questo è strettamente connesso anche al relativo blocco della formazione professionale e quindi a tutte le attività di politica attiva finalizzata alla riqualificazione e ricollocazione delle persone.
Gli interventi devono tenere in considerazione non solo gli occupati o i disoccupati generati da questa emergenza, ma anche le persone che già in precedenza erano disoccupate e vedono il loro rientro nel mercato del lavoro complicarsi ulteriormente, perché si riducono le opportunità occupazionali e le forme di accompagnamento al lavoro.
Intervenire su queste tre platee vuol dire tutelare realmente gli ultimi, coloro che rischiano di pagare il prezzo più salato di questa ennesima crisi.