Anpal e Anpal servizi non ci sono più. L’agenzia nazionale per le politiche attive è stata chiusa da una decisione governativa e l’agenzia di supporto è diventata dal primo marzo Sviluppo Lavoro Italia.

L’agenzia era nata con i provvedimenti del Jobs Act che avviava il sistema delle politiche attive del lavoro. Era il recepimento delle indicazioni europee di passare a iniziative di inclusione sul mercato del lavoro superando il sistema delle politiche passive come unica risposta alle crisi occupazionali. Alla base delle indicazioni europee stavano, e stanno ancora, due constatazioni. Da un lato, le politiche passive fatte di sostegni al reddito in difesa del mantenimento del posto di lavoro esistente, come molte politiche di sostegno basate solo sul contributo economico, portano a un’emarginazione delle persone da percorsi di inclusione con un peggioramento delle capacità di inserirsi in nuovi processi occupazionali. In secondo luogo, era già evidente un cambiamento in corso sui luoghi di lavoro. L’accelerazione dovuta a cambiamenti tecnologici ha determinato velocemente una domanda di nuove competenze nei lavoratori coinvolti nei cicli produttivi. Con una formula sloganistica ciò porta a verificare che si passa da una situazione in cui un lavoro dura per tutta la vita lavorativa a una vita fatta di diversi lavori.



Per sostenere, quindi, le transizioni lavorative e l’aggiornamento delle competenze dei lavoratori occorrono strumenti di politiche attive basate sulla formazione e la proattivazione delle persone. L’obiettivo è sostenere l’occupabilità dei lavoratori, che non è più la difesa del posto fine a se stessa. Anche il sostegno al reddito diventa strumento di sostegno per percorsi formativi di riqualificazione delle competenze.



La nostra agenzia nazionale fu varata per cercare di realizzare questa svolta nelle politiche per il lavoro. Nasceva però con un grave handicap. La formazione lavoro e le politiche del lavoro sono delegate alle Regioni. La governance prevista alla nascita dell’agenzia coinvolgeva la rappresentanza delle Regioni, ma assegnava a livello centrale, oltre alla programmazione dei servizi, un ruolo di coordinamento della rete dei Centri per l’impiego come strumenti attuativi delle nuove politiche sui territori. Il presupposto per un miglior coordinamento nazionale era contenuto nella riforma costituzionale, in corso all’epoca, che rivedeva le deleghe regionali contenute nel Titolo V e avrebbe permesso di dare maggiore autonomia gestionale alle iniziative dell’agenzia nazionale.



Oltre al problema istituzionale della governance, la scelta fatta con il disegno di Anpal aveva anche un altro punto di debolezza strategico. Le agenzie degli altri Paesi europei gestiscono, oltre alla rete dei servizi al lavoro sul territorio, anche gli strumenti di sostegno al reddito per la partecipazione alle politiche attive. Se guardiamo al modello francese, il più simile a quello che poteva diventare Anpal nella sua evoluzione, assieme ai servizi erano state fatte confluire nell’agenzia nazionale delle politiche del lavoro le risorse economiche che prima finanziavano le indennità di disoccupazione e le altre forme di politiche passive.

A fianco di Anpal era stata creata Anpal servizi. In realtà questa era l’agenzia per il lavoro preesistente, Italia Lavoro spa, che assieme al nuovo nome passava da agenzia di progettazione e promozione di servizi sul territorio alla sede dove avrebbero trovato la loro promozione e coordinamenti i servizi territoriali.

Il Governo che ha avviato operativamente il modello nazionale di agenzia per il lavoro è stato poi il Conte-1, dopo che la riforma del Titolo V era stata bocciata dal referendum istituzionale e la vicenda ha preso una piega che non fa onore a chi ha contribuito a determinarla.

Convinti che tutto quello che c’era stato prima di loro fosse da abrogare, i nuovi populisti hanno pensato che esistesse in America un algoritmo che gli permettesse, dopo l’abolizione della povertà, quella della disoccupazione. Da qui la nomina di un professore italoamericano del Mississippi a presidente dell’agenzia e dell’agenzia di servizi. Poi l’assunzione dei navigator per assicurare i risultati dell’algoritmo sui territori e uno spreco di risorse che non ha portato a nessun risultato effettivo. Anzi, ha determinato un crescente giudizio negativo verso la stessa idea della necessità di un’agenzia nazionale che presiedesse i servizi delle politiche attive del lavoro.

Nello stesso tempo l’Europa è andata avanti. In tutti i Paesi membri, pur con modelli di servizi al lavoro diversi, si è lavorato nella elaborazione dei Pnrr nazionali per rafforzare l’agenzia che presiede e coordina le attività. Il futuro del lavoro sotto le spinte della digitalizzazione e delle applicazioni dell’Intelligenza artificiale sarà segnato sempre più dalla necessità di una formazione che interesserà tutto l’arco della vita delle persone.

Superare i mismatching che si verranno a creare fra esigenze delle nuove tecnologie e competenze dei lavoratori, assicurare sistemi di formazione che permettano di mantenere le capacità occupazionali di ciascuno richiedono agenzie nazionali capaci di prevedere i bisogni e assicurare servizi formativi e di accompagnamento al lavoro per chi deve fare esperienze diverse.

Sono le emergenze che interessano anche il nostro mercato del lavoro e che sono evidenziate da un crescente mismatching fra domanda del sistema produttivo e difficoltà a trovare lavoratori formati con le competenze necessarie.

La risposta dell’attuale Governo è stata di riportare sotto la Direzione generale del ministero le competenze dell’agenzia nazionale e riportare l’agenzia di servizi a essere il collettore della programmazione delle Regioni sperando che si convincano a collaborare. Pensiamo veramente che così siano realizzabili gli obiettivi che ci siamo fissati nel Pnrr per i nuovi servizi al lavoro? L’impressione è che abbiamo semplicemente chiuso un’esperienza che da inutile era diventata dannosa, ma senza avere il coraggio di reimpostare una struttura che è indispensabile per avere un reale sistema nazionale di politiche attive del lavoro come in tutti i Paesi d’Europa.

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