“Sei stati, cinque nazioni, quattro lingue, tre religioni, due alfabeti e un solo Tito”. Recitava così una filastrocca insegnata ai giovani jugoslavi per inneggiare al loro leader supremo. Molta acqua, e purtroppo anche sangue, è passato sotto i ponti (non solo quello sulla Drina). In questi quasi quarant’anni dalla morte del padre della patria jugoslavo è caduto il Muro di Berlino e con lui quella orribile cortina di ferro che divideva l’Europa in due: quella occidentale e capitalistica e quella che seguiva, o perlomeno affermava di seguire, i principi marxisti e provava a creare un paradiso in terra per i proletari e i lavoratori.
Progressivamente i Paesi una volta sotto la protezione di Mosca si sono liberati dal giogo delle dittature e hanno scelto di aderire ad un’Unione europea arrivata, così, ad avere fino, prima della Brexit, a 28 paesi membri. Tra questi anche due già membri della federazione jugoslava: la Slovenia, prima, e più recentemente la Croazia.
Proprio quest’ultima è chiamata da oggi, per la prima volta nella sua recente storia comunitaria, alla presidenza di turno dell’Unione europea. Una presidenza che casca, peraltro, in un anno, il 2020, che aveva assunto un significato altamente simbolico nella retorica europea nella quale non si arrivava a dire, come un cantante bolognese, che sarà tre volte Natale e festa tutto il giorno, ogni Cristo scenderà dalla croce e anche gli uccelli faranno ritorno, ci sarà da mangiare e luce tutto l’anno, anche i muti potranno parlare mentre i sordi già lo fanno, ma si immaginava un continente nel quale l’occupazione avrebbe raggiunto il 75% per la fascia di età compresa tra i 20 e i 64 anni, la riduzione dei tassi di abbandono scolastico precoce sarebbe scesa al di sotto del 10% con un aumento al 40% della fascia di età 30-34 anni con un’istruzione universitaria e avrebbe avuto almeno 20 milioni di persone a rischio o in situazione di povertà ed emarginazione in meno.
I fatti, come noto, ci dicono che le cose sono andate in maniera un po’ diversa da quanto immaginato. In questo quadro, di riflessione per il post 2020, si pone, appunto, la presidenza dell’esecutivo di Zagabria. Questo, nei mesi della sua presidenza, scommette, in continuità con le presidenze precedenti, di lavorare per il potenziamento della competitività del sistema e sul rafforzamento del mercato unico e dell’agenda della digitalizzazione.
In particolare, si punta sul rafforzamento della competitività dell’industria con un’attenzione specifica alle piccole e medie imprese che sono il cuore del tessuto produttivo della nostra Europa. Si sottolinea, poi, un impegno sulla formazione teso a promuovere l’apprendimento permanente, e di alta qualità, e lo sviluppo delle nuove competenze necessarie per i lavori del futuro. Come poi queste indicazioni di massima saranno trasformate in provvedimenti concreti ancora non è possibile saperlo e solo quando questi saranno proposti sarà possibile dare una valutazione più precisa.
L’Europa, tuttavia, dei sovranismi e della Brexit è chiamata a ripensare, già in questi mesi, le proprie strategie, probabilmente, a partire proprio dal tema del lavoro e del welfare state per aggiornare il modello, forse logoro, dell’economia sociale di mercato. Potrebbero essere utili anche gli stimoli di un giovane Paese, come la Croazia, proveniente dalla “nuova” Europa e desideroso di provare a essere, per quanto possibile, protagonista di un’Ue, certamente diversa, che verrà.