Tutti i commentatori hanno apprezzato i discorsi con cui Mario Draghi si è presentato, al Senato e alla Camera dei deputati, per ottenere il voto di fiducia e dare il via al lavoro del proprio Governo. Ritengo che buona parte dei consensi siano dovuti alla chiarezza del linguaggio, alla corrispondenza fra problemi rilevati e proposte e il cogliere come le priorità sottolineate corrispondessero alle evidenze quotidiane di tutti e non solo ad astratti richiami e proclami di altri. Per ogni tema posto come importante, ognuno era in grado di cogliere che vi era un’analisi precisa e una visione conseguente a come si intende impostare le risposte e le riforme. Anche se il discorso conteneva poi pochi esempi di interventi, risultava evidente che erano punti che indicavano un programma articolato di iniziative entro cui inserire questi singoli passaggi.
Un’analisi precisa e una conseguente visione delle questioni necessarie ha permesso anche l’economicità della durata dei due discorsi. Ciò ha messo ancora più in rilievo la pochezza di proposte di chi ha guidato i Governi precedenti, tutti “chiacchiere e distintivo”. I temi del lavoro e del rilancio dello sviluppo economico sono stati ovviamente centrali nel ragionamento generale su come rendere investimenti buoni i fondi europei che arriveranno.
Ripresa della produttività e ritorno ai livelli pre-crisi del 2008 sono gli obiettivi che dobbiamo porci per riportare l’economia italiana a essere competitiva a livello mondiale e tornare a giocare un ruolo importante nel nuovo equilibrio della globalizzazione. Si tratta di obiettivi indispensabili anche per tornare ad avere un peso nelle decisioni che determineranno nei prossimi mesi il ridisegno delle regole dell’integrazione europea.
Per quanto riguarda le scelte legate strettamente alla politica del lavoro, riaffermato come solo dalla crescita economica verrà la spinta a riassorbire vecchi e nuovi squilibri del nostro mercato, sottolineo come con un giudizio sulla crisi e tre passaggi abbiano messo a fuoco le priorità che verranno seguite nelle decisioni dei prossimi mesi.
Il giudizio è che la crisi della pandemia ha agito in modo asimmetrico nei diversi settori economici. Ciò ha reso ancora più evidenti alcuni squilibri già presenti nel mercato del lavoro. Le categorie che più avevano debolezze contrattuali e difficoltà a essere stabili sul lavoro hanno visto aumentare le diseguaglianze rispetto alla fascia di lavoratori con più tutele. Da qui l’esigenza di mettere al centro delle politiche di ripresa economica misure specifiche per estendere le tutele sul mercato del lavoro per giovani e donne, cercando di portare il tasso di occupazione a livello di quelli dei principali Paesi europei anche per loro.
Da questo nocciolo di analisi viene anche la necessità di mettere mano a una riforma degli ammortizzatori sociali. L’emergenza ha imposto di usare quanto già disponibile. Ma la cassa integrazione, anche nelle forme straordinarie, e il blocco dei licenziamenti hanno reso evidente che troppi lavoratori sono al di fuori di questi strumenti di tutela. Da qui l’esigenza di una revisione per avere un sistema più universale che possa ridefinire le tutele per tutti i lavoratori.
Avremo anche una ripresa non univoca e con un salto tecnologico dovuto alla digitalizzazione che caratterizzerà molti degli investimenti da farsi. Da qui la sottolineatura fatta per una definizione di una politica attiva del lavoro che deve impostare un modello nazionale di sostegno alla mobilità dei lavoratori e sostenere le fasi di passaggio da lavoro a lavoro. Rete fra operatori pubblici e privati e nuovo disegno dell’assegno di ricollocazione sono i pilastri indicati.
Assieme a questo obiettivo è stata richiamata la necessità di un grande programma di formazione perché la transizione digitale richiede che ci sia, per i disoccupati ma anche per gli occupati, un grande investimento in nuove competenze. Da qui deriva le possibilità di difendere e aumentare l’occupabilità di tutti i lavoratori e sostenerli di fronte ai cambiamenti tecnologici e produttivi.
Terza iniziativa sottolineata è stato l’investimento per estendere l’esperienza degli I.T.S. Come noto, gli istituti tecnico scientifici sono il fulcro emblematico del processo di formazione professionale duale. Ossia quel sistema di scuola-lavoro che, con aula e apprendistato, permette di arrivare a un livello terziario (“universitario”) di competenze certificate, riuscendo così a formare figure professionali che il sistema scolastico tradizionale non riesce a programmare nei tempi utili per il sistema industriale.
Ciò che ha dato l’idea che vi è chiarezza nella scelta proposta non è stato tanto ricordare i consistenti fondi per il settore, quanto l’indicazione che alle risorse è indispensabile abbinare una semplificazione delle fondazioni che possono promuovere gli I.T.S. In questa scelta vi è la chiara visione dell’importanza dello sviluppo di questo nuovo filone di formazione per promuovere l’occupazione giovanile.
Con queste limitate ma precise indicazioni il presidente del Consiglio ha individuato il tracciato per aprire una nuova stagione delle politiche del lavoro. Non più assistenzialismo ma investimenti perché tutti possano lavorare e portare nel lavoro le proprie qualità e competenze individuali.
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