Il Pnrr presentato dal Governo italiano all’Europa dopo l’approvazione delle Camere presenta gli obiettivi delle politiche del lavoro nel capitolo “Inclusione e coesione”. Il totale stanziato per la missione 5 ammonta a 17,17 miliardi di euro. Di questa somma sono 6,66 i miliardi destinati alle politiche per il lavoro, 8,76 la quota di investimenti per infrastrutture sociali, famiglie, comunità e terzo settore, mentre la quota rimanente va a interventi di coesione territoriale.
Gli obiettivi occupazionali delle misure prese sono molto ambiziosi e riguardano l’effetto moltiplicatore che l’insieme degli investimenti, pubblici e privati, che saranno messi in moto dall’insieme delle iniziative previste dal piano riusciranno a produrre nella totalità del sistema Italia.
La linea delle politiche attive del lavoro inserita nella missione 5 riguarda invece le misure che si ritengono necessarie per dare maggiore efficienza al nostro mercato del lavoro.
Il primo mismatching che il nostro Paese registra è quello della difficoltà di incontro che hanno domanda e offerta di lavoro. Gli strumenti pubblici, i Centri per l’impiego, sono pressoché limitati a compiti burocratici e restano poco influenti per quanto riguarda l’incrocio fra chi cerca lavoro e chi ha bisogno di lavoratori. Anche lo sviluppo avuto dalle Agenzie per il lavoro private ha risposto ad una quota limitata della ricerca e selezione del personale.
La prima esigenza è pertanto quella di costruire una rete di operatori, pubblici e privati, che siano in grado di rispondere a quanti dovranno passare dal vecchio a un nuovo lavoro, a quanti devono migliorare o mutare le proprie competenze anche solo per rimanere al lavoro. Gli investimenti sulla rete dei servizi pubblici per digitalizzare i servizi e per accrescere le competenze necessarie per poter fornire nuovi servizi sono indispensabili. Solo la rete pubblica non sarebbe però in grado di fare la presa in carico di quanti, con la fine del blocco licenziamenti legato alla cassa integrazione, avranno necessità di un sistema di servizi di formazione e ricollocazione.
Il documento presentato non indica in dettaglio ciò che si intende fare in termini di governance dei servizi al lavoro. Pesa come noto la divisione dei poteri fra Stato e Regioni. Soprattutto nulla si dice relativamente alla agenzia nazionale che, se volessimo copiare quanto avviene nei Paesi europei, dovrebbe programmare e coordinare le politiche del lavoro. La suddivisione Anpal e Anpal Servizi resta in attesa di decisioni che ci auguriamo portino a un modello europeo con un’agenzia di coordinamento delle politiche attive e passive e un sistema universalistico di ammortizzatori sociali.
In attesa che si sciolga il nodo dell’agenzia il piano indica però gli strumenti principali che si ritiene debbano sostenere lo sforzo di rendere efficienti i meccanismi del mercato del lavoro. Vengono pertanto citati i due strumenti su cui negli ultimi mesi si è fatto affidamento per ridisegnare i servizi al lavoro e la formazione per gli occupati.
Nel primo caso si fa riferimento a GOL (Garanzia di occupabilità dei lavoratori). È una misura introdotta con l’ultima finanziaria che ridisegna quanto prima era previsto con l’assegno di ricollocazione. Dovrebbe diventare la misura principe delle politiche attive del lavoro, cioè essere il pacchetto di risorse assegnate a tutti coloro che sono in transizione da lavoro a lavoro e che trovano i servizi di orientamento, proattivazione e formazione come sostegno per una ricollocazione lavorativa.
Valore economico e universalità del servizio sono da definire insieme alla volontà di iniziare al più presto prendendo spunto, non dai fallimenti di Anpal servizi degli ultimi anni, ma dalle best practice di Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna.
Il secondo strumento citato è il Fondo nuove competenze. Sperimentato in chiusura dell’anno passato è uno strumento che si è dimostrato utile per potenziare la formazione degli occupati. Efficace sia per assicurare upskilling e reskilling delle competenze di quanti devono affrontare il salto tecnologico rimanendo in azienda, ed efficace per potenzialità di mobilitazione dei diversi soggetti che possono rafforzare i programmi di formazione.
La centralità della formazione per affrontare i cambiamenti tecnologici e organizzativi è chiara in tutti i contesti. Serve che la Pubblica amministrazione, i fondi bilaterali, le risorse europee, imprese e rappresentanze dei lavoratori possano avere strumenti utili per collaborare a piani di formazione straordinari.
Se queste sono le priorità inserite nel Pnrr dobbiamo provare a immaginare la migliore governance e la migliore ingegnerizzazione dei servizi perché si ottenga il massimo impatto a tutela dei lavoratori e per il migliore funzionamento del mercato del lavoro. L’esperienza del reddito di cittadinanza, la prova dei navigator (indipendentemente dal loro impegno) e le inutili proposte di sistemi di incrocio domanda-offerta in arrivo dal Mississippi sono da archiviare al più presto.
I risultati forniti anche da chi vuole difendere l’indifendibile sono chiari, il Reddito di cittadinanza non è e non può essere una politica del lavoro, chi ne fruisce è per la maggioranza dei casi non collocabile, questo errore ha aumentato le diseguaglianze penalizzando chi aveva più bisogno di sostegni sociali così come ha escluso chi avrebbe potuto uscire dalla povertà attraverso un aiuto alla ricerca di lavoro. Prima ci lasciamo alle spalle gli errori indotti dalla confusione fatta fra politiche per il lavoro e lotta alla povertà e prima daremo un aiuto vero a chi ne ha bisogno realizzando gli obiettivi assegnati dal Next Generation Eu.
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