In questi ultimi tempi non ci siamo fatti mancare nulla. La guerra scatenata dalla Russia, innanzitutto: una tragedia umana, prima che politica. E poi la crescita dei prezzi dell’energia con pesanti ripercussioni sulle spese delle famiglie. E quindi il ritorno dell’inflazione, quella perdita di valore della moneta che è la più ingiusta delle tasse. Con in più le crisi bancarie, il crollo delle Borse, i licenziamenti con grandi numeri nelle imprese tecnologiche.
Si è chiusa un’epoca, quella della globalizzazione fondata sul mercato libero, anche a livello internazionale, come fattore trainante della crescita economica e sociale. E hanno preso sempre più spazio i temi della difesa ambientale, della protezione della natura, della lotta contro i cambiamenti climatici.
Ci troviamo di fronte a due fattori che rendono difficile ogni analisi e più fragile ogni prospettiva: da una parte, la complessità dello scenario con tanti elementi che influenzano le scelte delle famiglie e la strategia delle imprese; dall’altra parte, la velocità del cambiamento con un’innovazione informatica che modifica rapidamente i parametri del lavoro e delle relazioni.
Se mettiamo insieme questi elementi ne ricaviamo almeno una certezza: il capitalismo ha bisogno di una forte riforma se vuole sopravvivere a se stesso e se non vuole essere travolto dalle tentazioni sempre presenti di uno statalismo che rischierebbe di essere una soluzione peggiore del problema.
Un’analisi accurata e avvincente di questa transizione la si può trovare nell’ultimo libro di Giuseppe Sabella: L’energia del salario (Rubbettino, 2023). La tesi di fondo, afferma Sabella nell’introduzione, è “non c’è Transizione se non c’è sviluppo integrale, economico e sociale in particolare. Il potere d’acquisto non è lo sviluppo sociale tout court, ma ne è un buon indicatore, in particolare dopo tanti anni di disgregazione dei ceti medi”.
Non a caso nella conclusione del libro si ricorda il “Protocollo Ciampi”, l’accordo che nel 1993 pose fine all’adeguamento automatico dei salari all’inflazione, così come la famosa affermazione di Henry Ford che sosteneva la necessità di pagare i salari più alti possibili perché i lavoratori fossero i primi ad acquistare le automobili che producevano.
Viene così sottolineata l’importanza del salario come elemento fondamentale per la crescita, un salario che è il riconoscimento della competenza e della volontà dei lavoratori di essere parte attiva nello sviluppo delle imprese. “Se è vero che l’innovazione tecnologica ha permesso di efficientare la produzione e di rilanciare la competitività delle imprese – afferma Sabella – è altrettanto certo che la conoscenza, le competenze e l’employability delle persone sono fattori strategici. La formazione è oggi importantissima, il futuro è delle competenze delle persone”.
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