Da tempo il sindacato si misura con le trasformazioni dei modelli di produzione. Le innovazioni tecnologiche, nella storia, hanno impattato notevolmente e plasmato indelebilmente i modelli produttivi e di organizzazione del lavoro. E con essi hanno posto l’umanità di fronte sempre a nuove sfide.

Ne costituisce un emblema l’avvento del telaio meccanico agli albori della prima rivoluzione industriale, che ha dettato le basi della produzione di massa, ma che tanto ha destato preoccupazione fra i contemporanei dell’epoca, dal momento che questa nuova automazione aveva reso non più necessarie alcune figure professionali.



Con l’avvento dell’Intelligenza artificiale siamo al cospetto di una nuova rivoluzione industriale, con caratteri ancora più peculiari rispetto alle altre.

La prima riflessione che mi preme esprimere riguarda l’atteggiamento con cui il sindacato deve porsi di fronte a questi avvenimenti, in relazione agli impatti sull’organizzazione della produzione e sull’occupazione. Penso che si debba mutuare la saggezza degli scolastici medievali, che dalle riflessioni di Aristotele nell’Etica Nicomachea, suggerivano che “in medio stat virtus”. Ad avviso di chi scrive pertanto, un giusto approccio deve essere improntato a evitare visioni catastrofiste che generino come reazione un atteggiamento di lotta al cambiamento, anche con uno stile vagamente luddista. Al contempo non si può affrontare la novità con leggerezza, superficialità lasciandosi prendere preda da facili entusiasmi che rischiano di non tenere in conto i potenziali rischi che, insieme a indubitabili vantaggi, ogni rivoluzione porta con sé.



Sono profondamente convinto che sia compito di un sindacato riformista come la Cisl dapprima comprendere il cambiamento e poi attivarsi per governarlo, avendo ben a mente i nostri principi che sono e devono essere al di sopra di tutto. Centralità della persona, primazia del lavoro sul capitale, solidarietà e sussidiarietà non possono venire messi a repentaglio da alcuna rivoluzione del mondo del lavoro.

Quello che emerge come peculiarità dell’avvento dell’IA e del suo utilizzo nelle nostre esistenze è l’impressionante velocità con cui si genera il cambiamento. Il che porta con sé una questione di non poco conto circa l’estrema difficoltà per i regolatori istituzionali di disciplinare l’utilizzo dell’IA, senza ostacolare il cambiamento, e al contempo di prevedere norme efficaci che non diventino solo dopo poco tempo inadeguate.



Questa velocità sta impattando, e non poco, nel mondo del lavoro. È oramai da tempo, e lo sarà sempre di più, che mansioni ripetitive saranno affidate alle macchine. Inoltre, la nuova frontiera dell’IA generativa riguarderà anche attività più qualificate e creative, che fino a poco tempo fa si pensavano essere immuni dalle conseguenze di questa nuova rivoluzione industriale.

Si sta sviluppando una nuova dimensione del lavoro in questo nuovo rapporto uomo-macchina, per cui alcune attività della nuova IA potrebbero rimanere complementari alle mansioni svolte dall’uomo e pertanto essenziali entrambe. Ma in alcuni casi potrebbero verificarsi effetti sostitutivi dell’attività della macchina rispetto a quella dell’uomo, con conseguente rischio di compressione dei salari, riduzione delle assunzioni e\o di aumento della disoccupazione. Presumibilmente sarà sempre più necessario lo sviluppo di competenze lavorative digitali e trasversali. E già qui come Cisl dobbiamo far pesare la nostra azione per fare in modo sempre di più che la formazione finalizzata alle nuove competenze costituisca un diritto soggettivo inalienabile del lavoratore. Lo abbiamo ribadito del Manifesto del 26 settembre 2023; lo stiamo traducendo nelle nostre piattaforme contrattuali come Felsa-Cisl.

Oltre alla questione competenze ve n’è un’altra che impatta sul mondo del lavoro che noi rappresentiamo e riguarda l’utilizzo dei dati e degli algoritmi. L’IA ha una capacità di gestire un’enorme quantità di dati, anche personali dei lavoratori, e nella sua forma algoritmica, l’IA oramai sta esercitando nei confronti dei lavoratori, in alcuni ambiti come quello delle piattaforme digitali, dei poteri e delle interlocuzioni che fino a poco tempo fa erano appannaggio solamente del datore di lavoro-umano. La macchina applica il principio del fine che giustifica i mezzi. Se ottimizzata al fine solo ed esclusivamente della massimizzazione del profitto rischia di produrre discriminazioni aberranti.

È già emerso ai clamori della cronaca la vicenda di programmi per la selezione del personale che escludevano dalle possibili candidature alcune categorie di persone, solo perché appartenenti a una certa etnia. Com’è già stata affrontata dai Tribunali la questione discriminatoria di alcune decisioni algoritmiche. Come organizzazione sindacale abbiamo il compito di rendere etico l’utilizzo di questi strumenti. Ed è con il nostro agire contrattuale che dobbiamo farlo. Gli accordi stipulati recentemente dalla Felsa-Cisl nel mondo delle piattaforme digitali vanno proprio in questa direzione, favorendo forme di partecipazione dei lavoratori e del sindacato finalizzate a una trasparenza dei criteri di scelta dell’algoritmo e la modalità con la quale assume decisioni automatizzate.

Prima di interrogarci su come e cosa potrà preservare il lavoro dell’uomo domani, dobbiamo domandarci, già oggi, dove risiede il valore del lavoro svolto dall’uomo. Questo ci permette di rimettere a tema delle riflessioni sul senso e significato del lavoro, cos’è il lavoro per le persone e perché il lavoro è molto di più della sola retribuzione; ma anche perché l’impresa deve essere molto di più della sola organizzazione efficiente di processi produttivi o di catene di valore finalizzate a rispondere a un bisogno richiesto dal mercato dei consumatori.

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