Nelle giornate del 18, 21 e 25 marzo è prevista una nuova emissione di bandi per assegnare le nuove quote d’ingresso per motivi di lavoro riservate a extracomunitari. L’entità di queste quote dovrebbe corrispondere approssimativamente alle 136 mila del precedente decreto flussi che sono state assegnate nel mese di dicembre del 2023. Per accedere alle quote messe a disposizione con l’ultimo bando sono state inoltrate 609 mila domande da parte dei datori di lavoro. Non è escluso che una parte significativa delle nuove quote venga riservata, con modalità da stabilire, alle domande dei datori di lavoro che non hanno ricevuto un riscontro positivo nel mese di dicembre u.s., per motivi di capienza.
In un recente articolo dedicato a valutare gli esiti delle quote assegnate già assegnate (Il Sole 24 ore del 26 febbraio u.s.), vengono evidenziate una serie preoccupante di anomalie che hanno caratterizzato la formazione delle domande inoltrate e la gestione dei nuovi ingressi. In primo luogo, la concentrazione delle domande, circa 395 mila (pari al 65% del totale) provenienti dalle imprese residenti nel Mezzogiorno, in particolare in Campania (298 mila), dove si registrano tassi di disoccupazione di gran lunga superiori alla media nazionale: una cifra superiore di tre volte al numero complessivo delle domande inoltrate dai datori di lavoro delle regioni del Nord. Le 198 mila domande presentate nella sola provincia di Napoli, in coincidenza di un tasso di disoccupazione del 21% nel territorio, superano di 8 volte quelle presentare agli sportelli di Milano, dove le imprese faticano a trovare lavoratori disponibili.
La seconda anomalia, del tutto simile agli esiti dei precedenti bandi dei click day, è la bassa trasformazione dei nulla osta d’ingresso in Italia rilasciati dalle Ambasciate italiane nei Paesi d’origine in rapporti effettivi di lavoro, per l’indisponibilità, la mancata presenza o irreperibilità dei datori di lavoro che hanno inoltrato la richiesta. La cifra delle mancate trasformazioni non è ancora disponibile, ma gli esempi pregressi segnalano che in molte aree territoriali riguardano la maggioranza dei potenziali lavoratori extracomunitari arrivati in Italia.
Per alcune associazioni imprenditoriali, la causa delle mancate attivazioni dei rapporti di lavoro è da attribuire alle lungaggini burocratiche (la verifica dell’assenza di lavoratori disponibili nel territorio italiano presso i Centri per l’impiego e i tempi di rilascio dei nulla osta da parte delle ambasciate) che risultano incompatibili con i fabbisogni temporali dell’utilizzo dei lavoratori da parte delle imprese. Per accorciare i tempi, la normativa ha introdotto anche la modalità del silenzio assenso per il rilascio dei pareri da parte dei Centri per l’impiego e la possibilità di asseverare la congruità della consistenza dell’impresa e del numero dei lavoratori richiesti, da parte dei professionisti (D.L. 73/2022). Ma a quanto pare le norme hanno finito per agevolare anche il rilascio dei nulla osta con il concorso attivo di organizzazioni prezzolate per facilitare, a pagamento da parte degli interessati, l’ingresso di parenti e di conoscenti con il concorso delle comunità di origine già presenti in Italia. Gli esiti negativi vengono in parte calmierati dal numero inferiore delle quote disponibili e che vengono distribuite sul territorio dalla Direzione dell’immigrazione del ministero del Lavoro tenendo conto di altri indicatori e dei riscontri ereditati dalla gestione dei bandi precedenti. Queste prassi sono note da tempo e largamente praticate anche nel corso delle periodiche sanatorie con l’ausilio dei rapporti di lavoro domestico che non prevedono particolari verifiche per la congruità delle imprese e del rapporto di lavoro.
Quello che traspare da questi numeri è l’assurdità delle narrazioni che accompagnano la crescente richiesta di nuove quote di ingresso degli immigrati. Le nuove domande riguardano in grande prevalenza i territori che hanno meno imprese e più disoccupati, lontane dalla propagandata esigenza di soddisfare i fabbisogni lavorativi delle imprese e dei territori che non riscontrano un’offerta di lavoro disponibile.
È anche una smentita delle tesi dei (finti) esperti di immigrazione che continuano a sostenere l’esigenza di aumentare le quote legali per l’ingresso di nuovi immigrati per evitare l’arrivo di quelli irregolari. Nel caso dei decreti flussi gestiti con i click day sta avvenendo esattamente il contrario: favoriscono l’ingresso legale di decine di migliaia di cittadini stranieri che sono destinati a diventare irregolari per l’assenza di datori di lavoro disponibili ad assumere.
I risultati mettono nell’angolo anche la vantata capacità delle associazioni datoriali di valutare i fabbisogni in modo coerente con le esigenze del sistema produttivo. Questo non è un segnale confortante, data la ragionevole esigenza di dover programmare l’ingresso di lavoratori immigrati qualificati per compensare una parte della riduzione della popolazione in età di lavoro attesa per i prossimi anni.
Resta da comprendere il perché di fronte a queste evidenze, e alla palese obsolescenza dello strumento del click day nel gestire i nuovi flussi d’ingresso per motivi di lavoro, le autorità di governo continuino a considerare questa modalità come il canale privilegiato per offrire una via legale d’ingresso, alternativa agli ingressi irregolari, e da utilizzare anche per assegnare una parte delle quote ai Paesi d’origine che si impegnano a contrastare il fenomeno.
Entrambe queste motivazioni non trovano alcun riscontro nella realtà, e nel frattempo la massiccia presentazione delle domande aggrava i carichi di lavoro degli sportelli unici per l’immigrazione e riduce drasticamente la possibilità di effettuare i controlli preventivi. I nuovi ingressi soddisfano solo in parte la domanda reale di lavoro, ma finiscono per gonfiare l’offerta di lavoro disponibile a lavorare nei comparti di attività caratterizzati dal lavoro sommerso. L’elenco dei settori che hanno queste caratteristiche è noto: l’agricoltura, le costruzioni, il turismo e la ristorazione, la logistica e i servizi alle persone. dove lavorano la gran parte dei migranti regolarmente presenti in Italia (circa i due terzi dei 2,4 milioni di occupati stranieri). Le condizioni salariali e di lavoro di queste persone offrono una spiegazione della crescita dei lavoratori poveri in Italia. Il numero dei lavoratori immigrati in condizioni di povertà assoluta supera di 4 volte quello degli italiani. La crescita dell’offerta di lavoro disponibile spiega la relativa indifferenza delle rappresentanze dei datori di lavoro per gli esiti dei click day. A risultare incomprensibile è la posizione delle organizzazioni sindacali che dovrebbero essere parte attiva nel rivendicare un’assoluta coerenza tra le richieste dei datori di lavoro e la sottoscrizione di rapporti di lavoro regolari per evitare le conseguenze descritte.
La programmazione dei nuovi flussi d’ingresso privi di profili professionali identificati e con le modalità del click day non corrisponde ai fabbisogni professionali delle imprese ed è stata da tempo abbandonata dai principali Paesi di accoglienza europei. L’alternativa esiste, ed è quella di autorizzare le imprese, o gli intermediari accreditati, a poter selezionare, formare e inserire al lavoro i nuovi immigrati sulla base di fabbisogni preventivamente accertati, e con il rilascio del permesso di soggiorno a fronte della sottoscrizione del rapporto di lavoro. È un salto di qualità che richiede di affinare le letture del mercato del lavoro e dei fabbisogni reali con un coinvolgimento responsabile del sistema delle imprese e delle parti sociali nella gestione dei processi e sul controllo dei risultati.
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