La tragica morte di un bracciante indiano nel territorio di Latina ha riacceso i riflettori sul lavoro sommerso e sulle condizioni disumane di sfruttamento di una parte dei lavoratori immigrati. A questi eventi, come per gli infortuni mortali sul lavoro, segue puntualmente la richiesta di inasprimento delle sanzioni, di un aumento dei controlli e di introdurre sanatorie per favorire la regolarizzazione degli immigrati. Interventi che sono stati largamente praticati nel passato senza risultati apprezzabili.
La riduzione del lavoro sommerso e degli infortuni è avvenuta in particolare nei settori e nelle imprese che investono nelle tecnologie e che hanno una solida organizzazione aziendale. Buona parte dei lavoratori dipendenti e autonomi che fanno le prestazioni sommerse non sono affatto sfruttati o sottoremunerati. Il riscontro lo ritroviamo nelle indagini Istat e dell’Agenzia delle entrate. L’ultima indagine dell’Istat disponibile (2021) quantifica il valore delle sottodichiarazioni del reddito reale e delle prestazioni da lavoro sommerso in 173 miliardi di euro, equivalenti al 10,5%del Pil. Secondo l’Istat, la somma delle prestazioni di lavoro sommerse (doppi e tripli lavori, prestazioni non dichiarate di lavoratori regolari, lavoratori irregolari, lavori occasionali) corrisponde all’equivalente di circa 3 milioni di lavoratori a tempo pieno (2,177 milioni dipendenti e 820 mila autonomi). Ma i lavoratori che contribuiscono in vari alla formazione del monte delle prestazioni sommerse sono molti di più e una parte rilevante di questi risulta regolarmente occupata e percepisce redditi da lavoro netti superiori a quelli previsti dai contratti collettivi.
I lavoratori che risultano contemporaneamente sfruttati e sottoremunerati sono per la gran parte immigrati con regolare permesso di soggiorno. Il tasso di irregolarità stimato dall’Istat è del 42,6% nei servizi alle persone, 16,8% nell’agricoltura, 13,3% nelle costruzioni. Sono circa 1,8 milioni gli occupati stranieri regolarmente soggiornanti, e la quota preponderante dei lavoratori poveri, quelli con redditi da lavoro annui inferiori al 60% di quello mediano, è occupati in questi settori.
Sono attività economiche che hanno come caratteristica comune la presenza dominante di microimprese e una forte componente di lavoro stagionale. Per quanto riguarda il lavoro domestico, il tasso di irregolarità delle colf e delle badanti deriva anche dalla difficile sostenibilità dei costi per le famiglie. Circa il 40% dei lavoratori domestici iscritti al relativo fondo presso l’Inps risulta regolarizzato con contratti inferiori alle 25 ore settimanali.
Nei lavori di manutenzione delle abitazioni, riparazioni dei veicoli, prestazioni professionali, servizi di ristorazione, alloggio e ricreazione, l’evasione può essere paragonata a una sorta di cuneo fiscale applicato di comune intesa dai prestatori d’opera e dai committenti. Nelle raccolte agricole e nelle consegne a domicilio la compressione dei costi imposti dalle grandi reti distributive e dagli operatori della logistica riduce i margini per avere retribuzioni regolari e dignitose.
La capacità di contrastare questi fenomeni con l’aumento delle sanzioni e dei controlli da parte degli ispettori del lavoro, data la numerosità delle microaziende e delle famiglie con colf e badanti, è alquanto improbabile. Potrebbe essere più efficace l’utilizzo dell’intelligenza artificiale per contrastare l’evasione fiscale e delle detrazioni fiscali per i costi sostenuti dalle famiglie per i lavori di cura delle persone.
Con l’uscita dei lavoratori anziani italiani, la domanda di lavoro per le mansioni con bassa qualificazione si sta rivolgendo essenzialmente verso i lavoratori immigrati. La sostenibilità dei mercati del lavoro sommersi dipende essenzialmente dalla quantità dei lavoratori disponibili a lavorare in queste condizioni. Oltre i due terzi degli occupati immigrati, circa 1,8 milioni di persone, lavorano nei settori citati e fanno parte della schiera dei lavoratori poveri. Con l’uscita dei lavoratori anziani italiani dal mercato del lavoro è esplosa la richiesta di aumentare le nuove quote di ingresso per i lavoratori stranieri riscontrata in parte dal Governo in carica con la programmazione di 450 mila quote d’ingresso entro il 2025. Quote che vengono gradualmente messe a disposizione delle imprese e delle famiglie con i bandi dei click day.
La descrizione di come funzionano questi bandi l’abbiamo puntualmente descritta in un recente articolo. Le domande inoltrate risultano 5 volte superiori all’offerta disponibile. Vengono manipolate da organizzazioni di diversa natura che inoltrano le domande (a pagamento) per i nuovi ingressi, con il concorso compiacente di imprese fasulle, per favorire l’ingresso di parenti e conoscenti delle comunità straniere residenti in Italia. Ma solo due immigrati su dieci, tra quelli che hanno ottenuto il nulla osta d’ingresso, ottiene un regolare contratto di lavoro. Un esito che è stato oggetto di un esposto alla magistratura da parte della presidente del Consiglio. Allo stato pratico i click day sono una modalità per programmare ingressi legali per alimentare i mercati del lavoro sommerso, con gli esiti negativi che ne derivano anche per il complesso degli immigrati che vi lavorano. Gli stessi esiti, ampiamente documentati, sono stati riscontrati nelle sanatorie dei rapporti irregolari (2012-2020) con l’utilizzo di finti rapporti di lavoro attivati dalle famiglie per regolarizzare il permesso di soggiorno di colf e badanti maschi, che sono stati puntualmente licenziati e dismessi dall’iscrizione del fondo dei lavoratori domestici dell’Inps dopo l’inoltro della domanda.
Ma l’aumento delle quote dei click day e di nuove sanatorie per risolvere i problemi sono state richieste anche dalle associazioni dei datori di lavoro, dalle organizzazioni sindacali e dalle associazioni dell’accoglienza che oggi lamentano i risultati. La possibilità di offrire risposte alle criticità di questi mercati del lavoro e per migliorare le condizioni dei lavoratori immigrati sono alla portata di mano. Ad esempio, creando liste di disponibilità territoriali per i disoccupati e per i beneficiari dei sostegni al reddito (tanti, soprattutto nell’agricoltura) per aumentare l’impiego lavorativo regolare per gli immigrati già residenti. Ovvero per vincolare il rilascio dei nulla osta d’ingresso al deposito di una fideiussione da parte delle singole imprese per garantire la sottoscrizione del contratto di lavoro a seguito del rilascio dei nulla osta.
Sono proposte che richiedono un contributo attivo e responsabile delle imprese e delle rappresentanze sociali nella programmazione delle quote, per la formazione del personale e per la sottoscrizione dei contratti di lavoro.
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