L’aspetto della partecipazione dei lavoratori è senza dubbio centrale nel futuro del lavoro e delle relazioni industriali. Anche in questo caso, come per altri versi, la Germania offre uno spaccato di vera avanguardia, dove rappresentanti dei lavoratori arrivano anche a sedere nei consigli di amministrazione e a partecipare così alle scelte strategiche che le aziende fanno. Il caso tedesco resta tuttavia piuttosto differente da quello italiano, anche se non si sbaglia mai a guardare cosa avviene oltre confine e, in particolare, in contesti più avanzati del nostro.



Va pertanto accolto con interesse e curiosità l’accordo – che martedì 22 ottobre sarà presentato in Assolombarda – che la Confindustria di Milano ha firmato con Cgil, Cisl e Uil milanesi in materia appunto di partecipazione dei lavoratori. Si tratta di qualcosa di innovativo nel nostro Paese che offre utili linee guida ai luoghi di lavoro ben sapendo che è proprio lì, nel bene e nel male, che la partecipazione si costruisce: difficilmente saranno, infatti, accordi interconfederali, e tantomeno leggi, a determinarla.



Tuttavia, come ben evidenziato in questa intesa, si può accompagnare la crescita di “cultura partecipativa”, nella consapevolezza che sono decisive quella cultura organizzativa e quella maturità nelle relazioni di lavoro che nel nostro Paese esiste in contesti di eccellenza e che, per l’appunto, in Germania è un po’ più sistemica.

A ogni modo, la strada indicata dalle rappresentanze milanesi è importante e non stupisce per nulla che, ancora una volta, sia Milano a essere guida dell’innovazione. Non sappiamo in quali forme la partecipazione dei lavoratori si svilupperà in Italia – potremmo scoprirci innovatori anche in questo -, ma certamente, nel cuore di un processo di trasformazione dell’economia e del lavoro, laddove non vi è partecipazione si rischia di restare indietro. Non è un caso che le aziende più capaci di stare al passo con l’innovazione e con l’economia globale sono proprio quelle più attente a investire sulle loro risorse umane e sulle relazioni di lavoro.



Non è, inoltre, un mistero che nella storia e nella cultura delle relazioni industriali in Italia sia prevalsa, diversamente che in Germania, una visione antagonistica dei rapporti tra impresa e lavoro ed è proprio ciò che, a oggi, non ha facilitato lo sviluppo di pratiche di coinvolgimento e partecipazione dei lavoratori nella gestione dell’impresa. Vi è anche da dire che proprio rispetto al tessuto produttivo tedesco, dove il 40% è grande impresa, in Italia il 98% è PMI. Naturalmente il contesto dell’impresa medio-grande è quello dove la partecipazione dei lavoratori non solo è più sviluppata, ma trova anche modo di realizzarsi. D’altro canto, vi sono piccole imprese con livelli di partecipazione molto alta che, tuttavia, fatica a trovare “forme”.

Al di là di casi ben noti di aziende salvate dal fallimento dai dipendenti, che se le sono prese sulle spalle, tra le nostre imprese, a oggi, risulta piuttosto diffuso l’investimento in strumenti di partecipazione finanziaria – le cosiddette stock option – che hanno l’obiettivo di fidelizzare il lavoratore rendendolo partecipe di un rischio, rispetto alle eventuali azioni della società e quindi del suo valore economico.

Partecipazione, naturalmente, significa produttività: è questa la sfida del nostro Paese. E non poteva che venire da Milano, motore dell’intelligenza produttiva italiana.

Twitter: @sabella_thinkin

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