Il 24 novembre 2010 è entrato in vigore il c.d. “Collegato al Lavoro” (l. n. 183/2010), dopo un lungo e burrascoso iter parlamentare. Una delle novità più importanti e controverse del Collegato attiene al nuovo regime delle impugnazioni e delle decadenze in materia di licenziamento, che il Collegato ha esteso anche al trasferimento, e a una serie ulteriore di casi che riguardano, per la prima volta, anche i lavoratori cosiddetti “precari” (a termine, a progetto, cococo, somministrati).



Non rappresenta certo una novità la previsione secondo cui il licenziamento intimato al lavoratore subordinato deve essere impugnato, a pena di decadenza, entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione, anch’essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso l’intervento dell’organizzazione diretto ad impugnare il licenziamento stesso. La novità del Collegato risiede piuttosto nell’introduzione di un termine ulteriore per far valere in giudizio la illegittimità del licenziamento.



Secondo la normativa previgente, il lavoratore che aveva impugnato il licenziamento nel termine di sessanta giorni poteva attendere un quinquennio prima di agire in giudizio per far accertare l’illegittimità del licenziamento. In caso di accoglimento del ricorso, il datore di lavoro con più di quindici dipendenti era comunque tenuto, in base all’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, a reintegrare il lavoratore e a corrispondere un risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni maturate dalla data del licenziamento sino a quella dell’effettiva reintegrazione. Tenuto conto anche della durata dei processi, poteva trattarsi di anni e anni di retribuzioni “arretrate”. È significativo il fatto che soltanto qualche giorno fa la Corte di Appello di Catanzaro si è pronunziata sulla legittimità di un licenziamento intimato da una azienda di credito nel lontano 1990 e impugnato a distanza di anni dal lavoratore!



Senza toccare l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, il Collegato ha quindi previsto che l’impugnazione del licenziamento è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di duecentosettanta giorni, dal deposito del ricorso giudiziale o dalla comunicazione alla controparte della richiesta del tentativo di conciliazione o arbitrato. Una novità assoluta del Collegato è rappresentata dall’estensione del regime previsto per l’impugnazione del licenziamento anche ai lavoratori cosiddetti “precari”.

Il Collegato ha infatti previsto che il termine di 60 giorni per l’impugnazione del licenziamento e il successivo termine di 270 giorni per agire giudizialmente si applicano anche ai licenziamenti che presuppongono la risoluzione di questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro ovvero alla legittimità del termine apposto al contratto; al recesso del committente nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa o a progetto; al trasferimento del lavoratore ai sensi dell’art. 2103 c.c.; all’azione di nullità del termine apposto al contratto di lavoro; alla cessione del contratto nei trasferimenti d’azienda o di ramo d’azienda ai sensi dell’art. 2112 c.c.; a ogni altro caso, compresa la somministrazione di lavoro irregolare, in cui si chieda la costituzione o l’accertamento di un rapporto di lavoro in capo a un soggetto diverso dal titolare.

 

I nuovi termini si applicano anche ai contratti di lavoro a termine in corso di esecuzione alla data del 24 novembre 2010 e a quelli già scaduti, con decorrenza dalla predetta data del 24 novembre 2010. In pratica, tutti i lavoratori che hanno prestato la propria attività lavorativa sulla base di un contratto di lavoro a termine già scaduto hanno tempo soltanto sino al 23 gennaio 2011 per far valere l’illegittimità del termine: dopo quella data, non potranno più farlo.

 

Com’era ampiamente prevededibile, la nuova disciplina in materia di impugnazioni e di decadenze sta suscitando un vivace dibattito, che non coinvolge soltanto gli “esperti”. Al di là delle questioni più strettamente “giuridiche” (che non possono essere trattate in questa sede), ha destato forti perplessità, e in qualche caso ha alimentato aspre polemiche, la scelta del legislatore di estendere anche ai lavoratori “precari” il regime delle impugnazioni e delle decadenze applicabile ai lavoratori subordinati; e ciò, in considerazione dei termini asseritamente troppo brevi per l’esperibilità del ricorso giudiziario e del concomitante stato di forte condizionamento psicologico dei lavoratori, esposti al rischio del mancato rinnovo del contratto in caso di impugnazione.

 

A detta di alcuni autorevoli giuristi, le azioni giudiziarie riguardanti la riqualificazione del rapporto di lavoro, o l’illegittmità dell’apposizione del termine di durata, avrebbero dovuto conservare la loro tradizionale natura di azioni di accertamento, come tali non soggette a termini di decadenza, salva l’applicazione, in caso di ingiustificata dilazione della loro proposizione, delle regole di riduzione del danno risarcibile per concorso di colpa del soggetto danneggiato.

Senonché, le regole generali in materia di danno risarcibile lasciano sempre spazio alle più svariate interpretazioni e applicazioni da parte dei giudici di merito. È discutibile se sia congruo o meno il termine di sessanta giorni previsto dal Collegato; ma è francamente condivisibile l’obiettivo di garantire una maggiore certezza nei rapporti giuridici e patrimoniali tra le parti; anche nell’interesse dei lavoratori. Vero è piuttosto che il predetto obiettivo non si può raggiungere pienamente senza intervenire anche sul piano della razionalizzazione e della semplificazione della normativa sul lavoro, da sempre affetta dal problema della complessità e da sempre soggetta a continue revisioni a seconda della maggioranza parlamentare del momento.

 

Per questo motivo, è auspicabile che il progetto di legge delega presentato dal Ministro Sacconi per l’emanazione di un Testo Unico delle leggi sul lavoro, denominato “Statuto dei lavori”, non venga messo da parte e possa costituire l’occasione per un costruttivo confronto tra tutte le parti in causa.